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Il Tor Des Geants come “un viaggio dell’anima”: le riflessioni un mese dopo il traguardo


Di Carmela Vergura

“La volontà di sopravvivenza è una realtà che lascia sbalorditi. Giorno per giorno mi ritempro nel corpo e nello spirito, ed ora il mio sguardo ritorna ad accarezzare con amore i profili crudeli del Monte Bianco.” Walter Bonatti, da “I GIORNI GRANDI”.

TOR DES GEANTS, dalla lingua valdostana patois, tradotto in italiano come il “giro dei giganti”. Si parte e si arriva ai piedi del Re delle Alpi, il Monte Bianco tanto amato dal grande alpinista Walter Bonatti, che ci ha lasciati per sempre proprio nei giorni di questa competizione.

Ogni volta che mi sono seduta di fronte allo schermo del computer, mi sono sempre rialzata, le emozioni e l’intensità dei pensieri erano più forti del digitare i tasti e non riuscivo a trasmettere su uno schermo tale forza interiore che a distanza di un mese è ancora viva.

Tanti sono gli amici, i conoscenti, i parenti che mi chiedono i particolari, che mi fanno domande su quello che è stata la settimana più vissuta della mia vita, quali sono state le difficoltà, le paure, quante ore ho dormito, quanto ho camminato, quanto ho corso, come mi sono vestita, che cosa ho mangiato, a che cosa pensavo duranti i lunghi tratti in solitaria, quali sono stati i maggiori problemi articolari e muscolari, che cosa mi ha spinto ad affrontare un’avventura simile, e soprattutto perché.

Rispondere a queste domande non è affatto semplice, ma di una cosa sono convinta più che mai: ogni persona può affrontare una sfida, riuscire a capire i propri limiti e saperli affrontare. Dopo il Tor des Geants io sono rinata dentro l’anima, consapevole di poter avere quella capacità e quella volontà di sopravvivenza di cui Walter Bonatti ha saputo essere il maestro.

Che cosa spinge una donna di 48 anni, con una figlia di 5 anni, con un marito che pazientemente aspetta e consiglia, ad affrontare un’avventura a fil di cielo, di 332 chilometri e 24000 metri, proprio così ventiquattromila metri, di dislivello positivo? Io stessa non saprò mai trovare risposta, ma qualcuno lassù o quaggiù mi ha spronato a provare la ”sfida” della propria vita.

Nel passare degli anni ognuno di noi si trasforma, per una serie di eventi belli, brutti, occasionali o voluti, il Tor des Geants è stato un insieme di casualità e di eventi ricercati dalla sottoscritta. Dopo di quella che è stata definita l’edizione zero del 2009, e leggendo gli articoli di chi ha affrontato una simile impresa, dentro di me si concretizzava il sogno di poterlo realizzare.

Ricordo molto bene all’apertura delle iscrizioni dell’edizione 2011, sul sito dei Courmayeur Trailer Valle D’Aosta, si erano già preiscritti più di 300 atleti provenienti da tutto il mondo: nello stesso istante della lettura dei nomi, ho intuito anche il mio. Ci sarò! Le Alpi valdostane vedranno i miei passi, il mio sudore, la mia fatica, la mia gioia, le mie lacrime. Ed io vedrò e accarezzerò le vette, i sentieri, vedrò da vicino la luna e le stelle, il sole e le nuvole, mi rifugerò nelle baite e nei ricoveri della montagna, mi lascerò guidare dalla mia forza di volontà, ammirerò la costanza di chi andrà avanti nonostante la fatica, saprò dormire e camminare allo stesso tempo, patirò la sete e non riuscirò a mangiare. Sorriderò e non avrò la forza di parlare, guarderò incuriosita gli atleti che sceglieranno l’erba come letto e riuscirò a camminare nonostante le vesciche. Non dormirò perché sarò sempre piena di adrenalina, mi addormenterò strada facendo sui bastoncini, cadrò dalla fatica e subirò le discese tecniche, ammirerò i paesi dal disopra delle cime, osserverò i camosci e ne vedrò la loro bellezza e l’agilità, canterò quando non ci sarà più nessuno attorno a me, pregherò per terminare l’impresa. Voglio esserci, per me stessa, per coloro che non ci sono più e a cui ho voluto e continuerò a volere bene, ci sarò per tutti quelli che io ammiro e che mi sostengono. Saranno a fianco a me: Elisa, Alessandro, Cecilia, Deborah, Irma, Roberto, Roberto, Jenny, Irma, Teresa, Michele, Donato, Angelo, Gina, Benedetta, Daniele, Andrea, Silvia, Laura, Lorena, Barbara, Manuela, Giorgio, Serena, Sally, Flavia, Giuliana, Davide, Stefano, mia mamma e mio padre e chi mi ha seguita on line durante la settimana .

Domenica 11 settembre alle ore 10.00 dopo un’estate trascorsa tra allenamenti lunghi e solitari, tra gare lunghe e ultra, parto con le parole cantate da tutti i presenti e i partenti con la canzone di Jovanotti:

IL PIU’ GRANDE SPETTACOLO DOPO IL BIG BANG SIAMO NOI….

L’aria sprigionava solo adrenalina nella piazza di Courmayeur, 473 concorrenti provenienti da tutto il mondo si apprestavano ad affrontare quella che, secondo i più esperti, è la gara più dura al mondo.

In 150 ore massime di tempo devi saperti conquistare il titolo di re del Tor des Geants, puoi arrivare primo o ultimo, ma se arrivi nelle 150 ore diventi un eroe. Diventi parte delle montagne perché le vivi in una tale empatia che ti senti impossessato nella stessa roccia.

150 ore e ti metti in gioco, o arrivi o ti fermi. Preghi che non ti devi far male, preghi che non ti arrivino acciacchi seri, preghi e speri che le salite spacca gambe e le discese ardite terminino presto, preghi che il posto tappa più vicino ti dia da dormire, da mangiare e anche da massaggiare.

Preghi che ci siano un po’ di persone amiche a incoraggiarti. Preghi di stare bene, di concludere entro il tempo.

Ogni tappa ha avuto i suoi momenti cruciali. A Valgrisanche protagonista la pioggia e l’umidità. A Cogne la partenza nel pieno della notte stellata, la lunghissima discesa verso la fine dell’alta via n. 2, a Donnas. La lotta contro la dissenteria che mi ha devastata per ore ed ore. La lunghissima, estenuante, infinita tappa di Gressoney. L’agognato arrivo ad Ollomont e l’aria di Courmayeur sempre più vicina. Il concorrente da vincere in una prova del genere è il sonno: quella del sonno in gara, è la condizione più difficile, come spiega il professor Trabucchi; lo psicologo dell’ultra trail, che ha studiato gli effetti della privazione da sonno, sostiene che tutti gli atleti amatori e professionisti, con un’adeguata preparazione, possono portare a termine una gara come il Tor des Geants. Gli studi effettuati, portano a capire che lo “stop” a parecchi atleti viene dato dal cervello e non dal fisico il quale, allenato alla privazione da sonno, potrebbe continuare per molti altri km. La sera e poi la notte, nel trail hanno due volti. Il primo è che dopo essere stati tutto il giorno sulle gambe, con il calare della luce, inizia a farsi sentire quella sensazione di sonnolenza che ti fa dire: “fermati un po’ a riposare”. Il secondo volto, invece, è un buon alleato. Se stai ancora bene, quando calzi la lampada frontale per rischiararti la via, sei più concentrato e attento ai particolari e soprattutto non hai la sensazione che il tratto che stai affrontando, magari, è il pezzo più duro, quello più temuto. Prosegui e lo superi quasi senza accorgertene… grazie al buio che ti circonda. Se si considera il passo dei primi e il passo tenuto dalle retrovie, la conclusione finale è che a vincere questa gara, se così si vuole nominare una prova estrema di questo genere, è colui, e colei, che non dorme. La sottoscritta, nella migliore delle ipotesi di un arrivo senza problemi fisici, aveva preventivato sulle 125 ore, arrivo previsto a Courmayeur il venerdì. In situazioni estreme come queste, ogni momento può cambiare i programmi: sul Col Tournalin, a 2800 metri di altitudine il mio corpo era stremato dalla dissenteria, altro che 125 ore! Ho dovuto lottare contro un fisico che mi pregava al ritiro, la testa ha invece prevalso. Con estrema volontà e coraggio ho proseguito verso il Col Di Nana, non potevo arrendermi, andavo avanti come un automa, ma andavo.

Definirei il Tor Des Geants come “un viaggio dell’anima”, perchè l’uomo tende sempre a salire e le montagne rappresentano i punti di contatto tra terra e cielo. La montagna ci rende individui più autentici, più veri: perché ti costringe a esserci con tutto se stessi, con il corpo, con la mente e con l’anima. A ognuno di noi spetta di trovare il proprio passo, raggiungendo quell’equilibrio dopo ore e ore di sofferenza fisica e mentale. Ebbene, quel punto chiamato equilibrio, e che mi ha permesso di arrivare in fondo, di avere la meglio sul sonno, di restare in piedi seppur massacrata alle ginocchia, di riuscire a correre quasi tutto l’ultimo tratto dal rifugio Bertone all’abitato di Courmayeur, è giunto quasi al termine dell’impresa. Tra la notte di venerdi e il mattino del sabato, l’ultima salita del colle del Malatrà è stata una scalata magica. La notte stellata e i miei compagni di avventura, Andrea e Davis con i quali ho condiviso buona parte della fatica, mi hanno reso forte e mi sono sentita nel pieno delle forze, di nuovo energica, stavo affrontando gli ultimi 3000 metri della salita e mi sentivo bene. Nel pieno della notte due amici mi vengono incontro e mi abbracciano augurandomi di terminare la gara. Nella notte l’abbraccio di Giuliana è stato qualcosa che mi ha resa ancora più consapevole del fatto che stavo per vincere la “sfida”. Mentre mi dirigo al traguardo , mi rendo conto che sto salutando le montagne attraversate, ne cito solo alcune: il Passo Alto (2990 m), il Colle Fenetre (2840 m), il Colle di Entrelor (3002 m) che segna il passaggio dalla Val di Rhemes a Valsavaranche, il Col Lauson (3299 m), la Fenetre de Champocher (2827 m), il Rifugio Coda (2280 m), il Col Marmontana (2348 m), il Colle Lazouney (2400 m), il Colle Pinter (2770 m), il Rifugio Grand Tournalin (2534 m). Valichi a 2000 metri, passaggi notturni su creste e rocce, fermate brevi e riposanti in quasi tutti i rifugi. Si conoscono tante persone, tutti che vogliono sapere il perchè siamo lì, a camminare per 332 km…

Ore 8.30 del sabato 17 settembre, il bel tempo ci sta lasciando, sembra un presagio al termine di una settimana di tempo meraviglioso e caldo. Con Andrea e Davis ci concediamo l’ultimissima pausa al rifugio Bertone, non si entra neppure all’interno, tanta è l’agitazione di arrivare nella piazza di Courmayeur, la discesa non è facile, tante pietre che ci impediscono di velocizzare il passo, poi un francese accompagnato da uno sciame di tifosi ci sorpassa di corsa, eh no questo non si fa, ci guardiamo negli occhi e gli ultimi 3 chilometri ce li beviamo con una corsa a perdifiato. All’improvviso appaiono, come folletti, tantissime persone con ogni sorta di campanaccio, bambini e adulti ognuno con una campana, persino mia figlia è stata arruolata con il preciso compito di farci festa, e dopo 142 ore il lungo tappeto rosso che lascia passare solo i finisher ci vede tagliare il traguardo del Tor Des Geants, edizione 2011.

Alle 8.45 termina “la sfida”, abbraccio la mia famiglia con un pianto lungo e liberatorio dando sfogo alle intensissime emozioni di una settimana al di fuori del mondo.

Il mio nome assieme a quello di altri 299 finisher del 2011 apparirà sul poster della gara.

“E’ innegabile lo stupendo, esaltante fascino dell’impossibile che, unitamente a quello dell’ignoto, hanno sempre dato un’ispirazione e un senso alle avventure dell’uomo… Ma sia chiaro che l’impossibile, per mantenere un fascino, va conquistato, non demolito; né si dimentichi che le grandi montagne hanno il valore dell’uomo che vi si misura, anche solo con lo spirito: altrimenti esse rimangono soltanto dei mucchi di pietre”. Walter Bonatti, da “I GIORNI GRANDI”.

Dedico questo mio racconto ad alcune persone che io stimo e ammiro, in particolare: Giuliana, Cecilia, Manuela, Giorgio, Gigi, Roberto.

Un ringraziamento alla THERMOPLAY per la collaborazione e un grazie particolare a mio marito.

Ah, dimenticavo… nel 2012 io ci sarò di nuovo!

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.