In viaggio con Bruno Brunod, fontina e vino rosso per il trailer più applaudito lungo i sentieri del Tor des Géants
Di Luca Casali
Bruno Brunod si siede sul prato. Davanti agli occhi ha le Grandes Jorasses ma non le vede. Il suo sguardo è tutto per la bottiglietta d’acqua che ha preso dalla tasca porta borraccia e che vuole bere. «E se c’è una mosca dentro? Poi mi va di traverso e mi tocca vomitarla». E ride divertito. Mancano meno di 10 chilometri alla fine del suo primo Tor des Géants e Bruno si gode se stesso.
Ha una caviglia (la sinistra) gonfia e grande come una mela ma non molla. Prima la febbre, poi l’anca, infine la caviglia. Il suo Tor, la gara che gli ha fatto venire voglia di tornare a correre, non poteva finire in mezzo a qualche valle. Doveva finire a Courmayeur, dopo il tappeto rosso che proclama i Giganti. Così, il campione del Team Forte di Bard si è messo il cuore in pace e ha marciato di conserva. Ieri mattina al Col Malatra faceva un freddo becco ma Bruno non lo sentiva. Insieme all’amico e compagno di allenamenti Diego Vuillermoz scherzava. «Ah, che buona la pasta al cervo che ho mangiato a Bosses. Ma ho belle che fame di nuovo. I due chili di Fontina che ho mangiato in giro non sono bastati».
Poi si è fatto serio. O quasi. «Tutti a chiedermi di questo Tor, di cosa avrei fatto. E io sono partito con Karrera. Non ce l’ho fatta a resistere e mi sono infilato dietro a lui. Ah, che andare. Ma tu che l’hai seguito, ma come corre questo Karrera? Come scendeva giù di qua?». A La Thuile Bruno rientra nei ranghi e transita in nona posizione con un sorriso. «Là sì che stavo bene». A Rhêmes è patito. Gli sono venuti i crampi, e la pioggia e il freddo della notte non sono amici. «Lì sono iniziati i problemi all’anca. Ho dovuto rallentare. La classifica era andata ma non la voglia di Tor. Ecco, ognuno di noi trailer dovrebbe avere lo spirito dei volontari della gara. Sempre sorridenti, sempre pronti a dar una mano. Mi hanno detto dell’incidente a Yuang Yang; è un dispiacere che mi porto dentro».
Bruno continua a camminare e un amico dopo l’altro gli va incontro. E lui non smette più di parlare e di raccontarsi. «Sono già pronto per l’anno prossimo. Ho preso bene le misure quest’anno. Questa gara va gestita con se stessi. Bisogna partire piano e ascoltarsi, capirsi. Lo sai che se cammini tutta la gara ad alto ritmo entri nei primi 20? Non l’avrei detto prima di farlo ma è così». È quasi ora di arrivare al Bertone, l’ultimo rifugio dei Giganti. E c’è un amico da passare a salutare: Renzino Cosson. Che lo aspetta a braccia aperte mentre il sole illumina i bicchieri di vino rosso e le facce dei due uomini di montagna. Un brindisi secco, un pezzo di pane e formaggio e Bruno riparte. Lo accompagna anche Gabriele Accornero. Poi arriva la famiglia al completo. E giù dal Bertone il figlioletto più piccolo inciampa e cade. E piange. Bruno si volta, gli rivolge uno sguardo tenero e riparte. Lo attendono gli ultimi tre chilometri. Dopo la curva della chiesa altro pit stop: Giuseppe Grange e Pablo Criado hanno piazzato il tavolino dell’aperitivo in mezzo alla strada e porgono un bel bicchiere di rosso al campione. È un bagno di folla. Brunod taglia il traguardo e resta sul podio mezz’ora. In trionfo. Come se avesse vinto.