Alfredo Angelici e la solitudine del maratoneta
Intervista realizzata da Marco Raffaelli
Incontro Alfredo Angelici in una pausa dalle prove dello spettacolo che, dal 23 aprile al 12 maggio, sarà in scena al Teatro Argot di Roma. “La solitudine del maratoneta” è una storia che non ha tempo, né luogo. Alan Sillitoe la scrive nel 1959, in Inghilterra, nel pieno della rabbia della classe operaia.
Alfredo perché avete deciso adesso di portare in scena una storia come questa?
Perché è una vicenda ancora attuale. Il Giovane Arrabbiato, che combatte contro una vita difficile. L’abitudine al furto, un talento per la corsa. Un’esistenza senza possibilità ma che trova la sua libertà attraverso la corsa stessa. Tramite quel particolare tipo di solitudine intensa, paradossalmente comunicativa, in cui i pensieri scorrono a fiumi e ci si ri/conosce, in cui ci si sente unici ma non isolati. Quella solitudine che solo in alcuni speciali attimi del correre si scopre.
Com’è il tuo rapporto con la corsa.
Io corro all’alba a Villa Pamphili, in silenzio, quando la città dorme ancora. Mi piace ascoltare il risveglio, in quelle condizioni pensare è più naturale, senza distrazioni, si torna a uno stato primordiale. Io amo la corsa, ho praticato per anni la maratona, non potevo che riconoscermi nelle emozioni e sensazioni del protagonista. Nella corsa, si trova la giusta misura, il momento per stare con se stessi, la libertà nella solitudine, il tempo fuori dal tempo.
Cosa ti ha affascinato del testo?
Ho deciso di metterlo in scena perché mi riconosco in quella storia. Con il regista Nicola Pistoia, che ne ha curato l’adattamento, lo abbiamo ‘sposato’ entrambi.
C’è dinamismo in scena?
Lo spettacolo tiene bene il ritmo, come una corsa appunto, ha il suo andare. Con me sul palco ci sono Antonella Civale e Dimitri D’Urbano. L’ambientazione è povera, essenziale, l’interno di una casa, da dove Il protagonista, ormai ricco e sicuro di se, racconta la sua storia di riscatto sociale, frutto delle sue vicende da mal vivente. Chiarisce che essere Arrabbiati significa avere la consapevolezza di un fuoco che brucia dentro, ascoltare la propria passione, un motore che se riconosciuto porta al cambiamento.
Così la storia a tratti diventa lo sfondo per capire cosa si prova quando si corre, quando s’indossa il pettorale.
Certo, dallo start, dal momento esatto in cui cadi nel vuoto di una solitudine interiore che durerà 42km, ma è quando ti sei fermato che “cominci veramente a correre” dice il protagonista. La proposta è proprio questa: fermarsi, riflettere sul senso del cammino, scegliere se e come partecipare e solo dopo, ricominciare a correre. Verso l’unica possibile onestà: quella con se stessi.
La solitudine del maratoneta non finisce dopo il calare del sipario…
Si infatti vorremmo coinvolgere i tanti atleti raccogliendo i loro commenti e testimonianze di maratoneti e appassionati di corsa. Alla mail lasolitudinedelmaratoneta@gmail.com è possibile inviare i propri racconti. Durante le repliche dello spettacolo ogni sera saranno letti alcuni tra i commenti ricevuti. Per tutti gli atleti, che verranno a vedere lo spettacolo, ci sarà una riduzione a 8 euro mostrando all’ingresso il tesserino Fidal o di altro ente di promozione sportiva.