La Diagonale de Fous: il Grand Raid de l’Isola de la Reunion raccontato da Stefano Ruzza
Mi era stato detto che il Grand Raid de l’Isola de la Reunion, nell’Oceano Indiano, era una gara durissima, forse la più dura al mondo tra le 100 miglia. Fango, sentieri difficili e tecnici, salite e discese su gradoni, il clima ostile per il freddo nella prima salita notturna e il caldo di giorno, la partenza alle 23 (poi anticipata alle 22:30) che costringe a correre anche la seconda notte (almeno). Poi quest’anno la Diagonale de Fous era stata allungata a 173 km e 10000 metri di dislivello positivo a causa di un sentiero non praticabile. Mi aspettavo un bel massacro.
Fortunatamente mi sono creato un’immagine talmente estrema della gara, che alla fine l’ho trovata quasi meno dura di quanto mi aspettassi. Tecnica in alcuni tratti, ma molto corribile in altri, soprattutto all’inizio. Abbiamo trovato freddo e pioggia nella prima notte, altri scrosci di giorno e un altro (per me) nelle ultime 3 ore di gara, ma non il tanto temuto caldo. E le salite e le discese, divertentissime e adatte a me. Solo gli ultimi 30 km sono stati lunghissimi, conditi da continue salite non indicate nell’altimetria.
Alcuni siti mi indicavano tra i possibili favoriti, sicuramente non per la vittoria, ma almeno per un piazzamento. Io ci speravo, ma con talmente tanti grandi atleti più esperti e più forti di me, non mi illudevo. La mia sola possibilità per fare un discreto piazzamento era partire piano e continuare col mio ritmo.
La partenza da Saint Pierre circondati da due ali di folla, è stata veramente folle. Nei primi 3 km in pianura ho cercato di tenere un ritmo buono ma facile, sui 4’40”/km. Lentamente ho iniziato a recuperare posizioni nei primi saliscendi. Dopo circa 2h30’ una leggera pioggia ha voluto rinfrescarci un poco, fino a diventare un vero diluvio dopo un’altra ora. La mia rimonta dal 112° posto del primo passaggio dopo 6 km è stata costante fino al 40° km, in cima ai 2165 metri del Piton Textor, passato al 20° posto. Peccato che la pioggia non abbia permesso di vedere nulla del panorama.
Divertentissima la discesa dal Coteau Kerveguen a Cilaos, 65° km, dove Nicola Faccinetto mi aspettava per l’assistenza. Cambio scarpe e indumenti e una buona mangiata. Ripartito all’inseguimento di Antoine Guillon e nelle vicinanze di Natalie Mauclair (poi vincitrice tra le donne), ho fatto la salita al Piton des Neiges (punto più alto coi 2478 metri) di buon passo, ma con molto margine. Da lì, nel tratto centrale della gara, il più divertente e caratteristico, ha ripreso la mia costante e continua rimonta. Passando per Hellbourg e poi per la salita del Col de Fourches, e successivamente da Marla e Roche Plate, ho recuperato fino al 12° posto.
Manca solo la salita verso Maido, pensavo, dove ci sarà ancora Nicola, e poi diventa scorrevole, ma si faranno sentire le ore. Niente di più sbagliato. Dopo Maido è iniziato un eterno saliscendi che minava soprattutto le risorse mentali. Fisicamente mi sono sorpreso di quanto stessi bene, ma ogni risalita era un supplizio per la mia testa. Inoltre era tornato di nuovo il buio.
Arrivato ad Halte Là, al 139° km, ero ormai concentrato solo a difendere la mia posizione, credevo di essere troppo stanco per recuperare ancora. Ma nelle discese continuavo a spingere, ed ecco la sorpresa di sorpassare in pochi chilometri alcuni atleti, per ritrovarmi al ristoro de La Possession addirittura al 7° posto.
Attaccare ancora o gestire? Avevo poco da scegliere, solo proseguire con questo passo. Mi aspettava ancora il Chemin des Anglais, il cammino degli inglesi, famoso sentiero formato da grosse pietre laviche spesso scivolose. Era l’unico tratto che avevo provato nei giorni precedenti, e la cosa mi è servita. A la Grande Chaloupe ero ancora 7°. Avevo un gran male ad una tibia a causa di una caduta, i piedi doloranti, le ginocchia doloranti, e non vedevo l’ora di arrivare. La salita verso Colorado, l’ultima, è stata una nuova agonia. Ma gli altri staranno peggio di me, mi dicevo facendomi forza, fino a che è iniziata finalmente l’ultima discesa. Tremenda. Scivolosissima a causa della pioggia, tra fango, rocce come sapone e radici come ghiaccio. Dietro non c’era nessuno, e non volevo rischiare inutilmente per provare a raggiungere chi stava davanti. Con tutta calma, sono arrivati all’ultimo chilometro intorno allo stadio de La Redoute, a Saint Denis.
Dopo 29 ore e 28 secondi, eccomi arrivato, in 7° posizione. Sono le 3:30 di notte. Il pubblico non c’è. Ci sono poche persone dell’organizzazione, pochi altri che stanno aspettando i concorrenti, c’è Nicola, ma dentro di me è festa. Sono talmente stravolto però che la forza di festeggiare manca. Che viaggio ragazzi.
Scopro che naturalmente il vincitore è Francois D’Haene. Sembra quasi scontato. Ha vinto dopo 24h25’02”. Un fenomeno. 2° Ludovic Pommeret in 25h55’26”. 3° Aurelien Collet in 27h24’53”. Tutti francesi. Che distacchi. Solo alla Diagonale.
Tra le donne 1° Nathalie Mauclair in 31h27’28”, 2° Juliette Blanchet in 34h17’54”, che ha battuto in volata per soli 8” la mia compagnia del Team Vibram Uxue Fraile.
Siamo 2° classificati come Team Vibram (grazie al 5° posto di Javi Dominguez e al 20° di Ronan Moalic), perfetta chiusura di una settimana spettacolare.
Di Stefano Ruzza