Eliud Kipchoge è l’atleta mondiale del 2018 per IAAF Athletics Awards
Eliud Kipchoge e Caterine Ibarguen sono gli atleti mondiali dell’anno. Questo il verdetto degli IAAF Athletics Awards, per premiare il re e la regina del 2018 nello show a Montecarlo. Non aveva mai vinto un maratoneta prima del keniano che ha demolito il record del mondo sui 42,195 chilometri a Berlino, con il formidabile crono di 2h01’39” e un miglioramento di oltre un minuto, proseguendo una carriera strepitosa in cui ha vinto dieci maratone sulle undici disputate, tra cui quella olimpica di Rio.
Eliud Kipchoge è il secondo keniano dopo David Rudisha a conquistare il titolo di Atleta dell’Anno. Il terzo non trascurando le radici del danese Wilson Kipketer. Nella Bibbia, Eliud generò Eleazar; nella maratona Eliud ha generato un record mondiale che promuove il 34enne del distretto delle Nandi Hills al titolo ufficioso e terribilmente reale di primo maratoneta della storia per quello che ha fatto, per quel che potrà ancora fare con quel suo passo metronomico, per quella sua capacità di resistenza alla fatica accompagnata a una mai accantonata calligrafia.
Con lo sfondo della porta di Brandeburgo, Kipchoge ottiene quel che ancora mancava nella sua collezione: il record del mondo battuto, demolito di 1’18”, portato a 2h01’39”. È necessario tornare al ’67 e all’angoloso australiano Derek Clayton per trovare un progresso maggiore, 2’24”. Ora, senza artifizi, senza plotoni di lepri, senza sentire sotto le suole l’asfalto di un autodromo, è a 100 secondi dalla soglia storica delle 2 ore in maratona. E il ricordo torna fatalmente più indietro, al suo primo apparire, a quindici anni fa quando un 19enne dal volto e dal corpo meno tirati all’osso diede vita, a Parigi St Denis, a un emozionante finale dei 5000 lasciandosi alle spalle Hicham El Guerrouj e Kenenisa Bekele.
“Sono qui per il record personale”, aveva detto alla vigilia esibendo una maglietta che portava l’annuncio “Berlin WR”. È stato di parola: il record personale, 2h03’05”, è stato spazzato, così come il 2h02’57”, datato 2014, di Dennis Kimetto, keniano come Eliud, nato nella generosa Eldoret, capace quattro anni fa di scrivere il settimo record mondiale sullo scorrevole percorso berlinese. L’ottava sinfonia è toccata a Eliud. La prima, giusto vent’anni fa, venne scritta dal brasiliano Ronaldo da Costa, 2h06’05”. Da Eliud avrebbe preso un chilometro e mezzo.
Kimetto aveva lasciato un segno – primo sotto le 2h03 – e quella seconda parte in 1h01’12”, mezzo minuto più veloce della prima, apparteneva a una dimensione assoluta e stordente. Eliud ha fatto meglio, molto meglio: 6033” sui secondi 21 km e 100 metri riproponendo l’andatura ideale dei 21 orari che aveva offerto nell’alba livida di Monza, nella primavera scorsa, quando nella prova “in vitro” organizzata dalla Nike (Breaking2, spezzare le due ore) aveva chiuso 25 secondi al di sopra dell’obiettivo.
Il film della gara ha avuto un andamento folle e regolare: Kipchoge via subito, in compagnia di tre lepri, lasciando subito a distanza Wilson Kipsang, che qui aveva portato il record a 2h03’23” infliggendo proprio a Eliud l’unica sconfitta della sua vita da maratoneta. Il ritmo sollecitato da Kipchoge porta a riscontri formidabili già nei primi segmenti (14:24 ai 5000, 29:01 al 10° km) e costringe alla resa due delle tre lepri poco dopo il 15° chilometro. Gli rimane Josphat Boit che lo guida alla mezza maratona in 1h01:06 prima di rialzarsi al 25° km. A quel punto, quando mancano 17 km, Kipchoge è solo e la proiezione gli assegna un tempo attorno alle 2h02. Ma è ancora in grado di lasciarsi alle spalle un 5000 in 14:16, dare uno scossone a quanto poteva esser previsto, chiudere a una media di 2’53” al km affibbiando agli altri distacchi da tappa alpina di un tempo: Kipruto e Kipsang a 5 minuti, Nakamura e Tadese a 7. Un confronto, sempre di ambito berlinese: dieci anni fa Haile Gebrselassie diventò il primo a superare, per un secondo, la barriera delle 2h04. Nel faccia a faccia virtuale con Eliud, avrebbe accusato un minuto a metà gara e oltre 2 minuti all’arrivo.
Kipchoge è campione olimpico, ha vinto tre volte a Berlino, tre volte a Londra, ora è primatista mondiale e “non ho le parole per descrivere quello che sto provando. Negli ultimi 17 km, affrontati in solitudine, è stata molto dura ma sapevo di poter andare sino in fondo. È stato in quei momenti che ho pensato al lavoro che avevo fatto in Kenya. È servito a spingermi”.
Ha un grande passato in pista, cosa ormai necessari per primeggiare su strada. La comparsa in scena risale al 2003, Mondiali parigini dove fù in grado di piegare, in fondo a un graduale e avvincente aumento della velocità, Hicham El Guerrouj e Kenenisa Bekele.
Kipchoge viene dal generoso distretto dei Nandi, una delle miniere dell’atletica keniana ed è allenato dal compaesano Patrick Sang nobile interprete delle siepi agli inizi dei Novanta, si arricchisce con il bronzo di Atene (gli stessi del podio parigino, ma il marocchino e l’etiope davanti a lui) e l’argento di Pechino (alle spalle di Bekele) mentre ai Mondiali Kipchoge conquista la seconda medaglia – secondo, piegato da Bernard Lagat – a Osaka 2007. Tutto e sempre sui 5000, quella che sembrava la sua distanza. In quell’anno, comunque, anche un 26’49” sui 10000m.
Il Kipchoge maratoneta fa capolino cinque anni fa, ad Amburgo quando regala un esordio a molte stelle: vittoria in 2h05’30”. Pochi mesi dopo, a Berlino, in 2h04:05, ed è secondo (prima e unica sconfitta) dietro a un Wilson Kipsang da record mondiale, 2h03:23. Nelle altre uscite, vittorie a Rotterdam, a Chicago (sfiorando il personale in 2h04:11), a Londra in 2h04:42, a Berlino in 2h04:00, ancora a Londra, 2h03:05, a 8 secondi da Kimetto, e a Rio in fondo alla maratona olimpica.
Fonte fidal