La Petit Trotte a Leon…una storia vera
Della serie, se l’Ultra Trail Mont Blanc vi sembra corto, beccatevi la
PTL. Dal racconto di Mauro Saroglia ormai è chiaro che il confine tra correre,
fare i trail e gli avventurieri è ormai molto labile. Le Alpi sono ancora un
luogo dove fare le imprese, basta avere la fantasia e la tenacia di Mauro…
E’ primo mattino di domenica 30
agosto 2009 la Place du
Triangle de l’Amitie a Chamonix accoglie un gruppetto di persone stanche,
zozze, sudate e puzzolenti, ma strafelici di aver terminato una prova lunga e
difficile.
Il sottoscritto con Enzo,
Roberta, Pietro, trasportano Maurizio (che stava benissimo) a braccia come un
aereo, come per farlo volare sotto l’ambito traguardo. E’ finita così la PTL, oltre 245 Km. (e per qualcuno anche di più) per
21.000 mt. di dislivello positivo che lascerà nella mia mente dei ricordi e
delle impressioni indelebili.
Nell’ambito della manifestazione
del Tour du Mont Blanc è stata ideata questa non gara per vedere sino a che
punto poteva interessare e sino a che punto ci si poteva spingere con la forza
fisica e con la mente. 180 persone hanno formato 60 squadre di varie
nazionalità che martedì sera 25.8.09 alle 22.00 hanno deciso di provare a partire
da Chamonix per ritornare entro la domenica, dopo aver fatto una passeggiatina
su e giù tra le cime intorno al Monte Bianco.
Per raccontare di questa
avventura ci vorrebbe tutto il tempo che si è impiegato per concluderla, perché
ogni attimo trascorso ha avuto la sua importanza ed il suo fascino.
La scelta di affrontare questa
esperienza è ovvia, dopo aver fatto 4 volte l’UTMB era ora di cambiare traccia
e provare nuove emozioni, i famosi propri limiti e naturalmente approfittarne
per vedere nuovi luoghi che forse mai ognuno si prenderebbe la briga di andare
a vedere.
Nel tardo pomeriggio prima della
partenza c’è stato un incontro per con gli organizzatori per valutare insieme
le varie problematiche del percorso, sulle difficoltà tecniche che ci saremmo
trovati ad affrontare, spiegazioni naturalmente in francese, una discreta
traduzione in inglese e……l’italiano? Manco a parlarne e questa è stata una cosa
grave per la quale più in là se ne comprenderanno le conseguenze.
Alberto Motta (organizzatore del
Valdigne) ha potuto darci qualche informazione sui punti critici e su qualche
aspetto tecnico della gara ma in modo molto veloce. Ancora ci è stato
consegnato un plico con le cartine del percorso generale, un road book a
settori plastificato. Bello, preciso, ben suddiviso, ma…….l’italiano? Sempre dimenticato,
eppure i soldini erano in valuta corrente ed europea, si poteva anche fare una
serie di questi papiri scritti in modo comprensibile per tutti, cioè ognuno per
la propria lingua. Abbiamo dovuto tirare fuori dal cappello tutto quello che si
poteva per capire le varie indicazioni espresse non nella nostra lingua madre.
Seconda tiratina d’orecchie!
Sempre nel pomeriggio di martedì
è stato bello insieme preparare gli zaini e confrontarci l’un l’altro per il
materiale, non c’è tensione ma concentrazione perché il momento della partenza
si avvicina sempre di più ed è quello che abbiamo atteso con ansia da
settimane.
Insomma tutti ci siamo ritrovati
alla partenza, emozionati e trepidanti, carichi non solo dello zaino,
abbastanza pesante, ma anche sotto il punto di vista psicologico.
Sorrisi, foto, pacche sulle
spalle, sguardi tra di noi per cercare visi amici, il controllo dei GPS e delle
tracce e gli ultimi ripensamenti su ciò che potevamo aver dimenticato, ma non
ci sarebbe più stato il tempo di andare a prendere nulla. In un attimo è
cominciato il conto alla rovescia e via tra il sound caratteristico dell’Ultra Trail,
riprese video, naturalmente applausi e tanti tanti incoraggiamenti!
Come per l’UTMB il pubblico è
distribuito ordinatamente lungo le strade di Chamonix per qualche Km. e noi
elargiamo sorrisi e batti cinque a tutte le mani che ci si parano davanti
come per assorbire forza ed energia.
Abbiamo naturalmente già tutti i
frontalini accesi ed appena si esce dalla cittadina francese e ci si inoltra
lungo il percorso, anche quelli che ancora non si erano resi ben conto della
cosa, penso che abbiano finalmente capito che si stava facendo sul serio.
Il ritmo mi sembra un po’
sostenuto, praticamente si corre come si fa nelle gare più brevi, non velocissimi
ma si corre ed a dire il vero pensavo che mettessimo un po’ di cognizione e
stessimo tutti un po’ più tranquilli. Ma nulla da fare si viaggia brillanti!
In quattro e quattro otto si
arriva a Les Houches ed intanto ha cominciato a piovere e quindi ci siamo
opportunamente coperti e ciò ci fa sudare abbastanza.
Il gruppo si è già sgranato
alquanto, ma le lucine sono ancora tutte a vista d’occhio, dico questo perché a
dire il vero ero preoccupato sull’uso del GPS. Avevo fatto un po’ troppe prove
in meno del necessario, cioè niente!
Solo istruzioni teoriche, perché sembrava tutto semplice e quindi la
speranza e che potessimo sempre approfittare dell’esperienza altrui. Tutto
sbagliato! Questo non sà da fare.
Sia ben chiaro che in questa
prova il GPS assume un’importanza fondamentale e quindi chi vorrà cimentarsi,
che si regoli in merito. A tal proposito esprimo una terza perplessità ed
un’indicazione. I signori della GARMIN avrebbero potuto anche decidere di
affidare almeno un paio di GPS ad ogni squadra, opportunamente caricati allo stesso modo. Ad ognuno di noi
erano stati inviati una serie di file con le tracce del percorso e non vi dico
il marasma per mettersi nella condizione di poter partire in regola, chi sapeva
come fare, chi se è rivolto ad esperti, io ho avuto la fortuna di approfittare
delle capacità di Felice, un amico e compagno del Soccorso Alpino di Valprato
Soana, che perdendo un bel po’ del suo tempo è riuscito a predisporre il GPS.
Nell’occorso erano anche arrivate
due varianti che per non saper né leggere né scrivere, abbiamo inserito
tagliando le rispettive parti della traccia ufficiale. Tremendo errore e poi si
capirà il perché!
Insomma tra un pensiero e l’altro
stiamo continuando a macinare kilometri e bagnati come pulcini nella notte ci
ritroviamo a marciare lungo la strada che porta verso il Col du Bonhomme.
Questo è un pezzo di percorso che conosco bene avendolo fatto per l’UTMB e non
mi piace affatto, la strada che porta verso la
Balme è dritta e nervosa e non ti lascia respirare un attimo.
Siamo sempre più sgranati ma le
lucine ci permettono di capire che non siamo mai proprio soli.
La salita verso la Tet
N. de Fours è tosta e difficile, non meno del Col de
l’Enclave, che è una cresta in salita dritta, scivolosa e dura con pericolosi
distacchi di pietre che per fortuna si distribuivano lungo i versanti laterali.
La fatica si comincia a fare sentire ed ogni tanto qualche cadavere si trova
seduto, stravaccato od appoggiato lungo la traccia per riposarsi, con i
compagni poco più sopra che lo sollecitano a reagire ed a seguirli.
Prima di questa salitona si è
passati per il lac Jovet, ed essendo di notte non abbiamo ben distinto la sua
sagoma, quindi lo abbiamo aggirato all’avventura sulla sinistra allungando
senz’altro la traccia originale che voleva si passasse sulla destra. Eravamo
troppo lanciati….
Intanto aveva smesso di piovere
ed in circa un paio d’ore attraversando qualche altro colletto, verso le 7.30
ci si ritrova, dopo una salita niente male al rifugio Robert Blanc. E’ pieno di
tutti noi a parte qualche cliente normale. Chi beve, chi mangia, io mi
trangugio acqua, limone e zucchero per cercare di sanare una grave situazione
stomacale che mi affligge ormai (e come al solito) da parecchie ore e non mi
permette di alimentarmi in modo adeguato. A dire il vero non sto proprio bene e
tremende idee mi affliggono sul proseguo della gara e mi impegno per farmi
passare le diverse paturgne mentali.
Passa più di un’ora e decidiamo
di ripartire, non prima che il sottoscritto si bevesse un’altra limonata calda.
Spero che il giovane dei rifugio
che ci ha serviti, possa farsi un piccolo esame di coscienza (non ce la farà
mai) e riconoscere che forse 6 €. per due limonate calde sono un po’ tanti
seppur tenuto conto delle circostanze di tempo e luogo.
Viaggiando verso il Col della
Seigne la giornata si è messa per il meglio, dietro di noi ci sono 3 ragazze
belghe belle allegre. Scendiamo verso il basso e la cosa non ci convince,
infatti da monte Roberta del gruppo di Pietro Trabucchi ci dice di risalire un po’ verso sinistra, cosa che
facciamo prontamente.
Finalmente possiamo cominciare a
rimirare paesaggi che ci circondano, la zona la conosciamo abbastanza bene e
comincio a fare fotografie.
Il territorio è abbastanza
selvaggio con lose enormi e si attraversano linee improbabili che a dire il
vero sono poco visibili e non conoscendo più o meno la linea da seguire non è
che si troverebbero facilmente. Al momento siamo con il terzetto di Pietro che
oltre a Roberta comprende anche Maurizio. Viaggiamo benissimo insieme e sono
contento di stare con loro perché Pietro è esperto del territorio e ci guida
con decisione lungo la traccia avvisandoci dei passaggi più delicati. In
effetti la zona del Colle della Bassaserra ed il Collet Pointe Rouse in alcuni
tratti sono abbastanza impegnativi; si tratta di passare in zone molto scoscese,
strapiombanti, con passaggi su catene e per fortuna essendo di giorno va tutto
per il meglio. In questa parte del percorso ci capita di incontrare parecchia
gente che va in giro per i monti. Non
sono affatto stanco e la cosa che più mi fa piacere e che posso mangiare
regolarmente e ciò mi da una carica bestiale.
Restiamo sempre in quota e questo
va bene, perché vuol dire che faremo meno discese e salite. Lungo la discesa
che ci porta verso il Petit S. Bernard ci si sgrana un po’, io ed Enzo arriviamo
poco prima di Marco che intanto si era staccato un po’ dagli altri. Qui
troviamo una specie di posto tappa, con un tendone per ripararsi, un po’ di
cibarie e di cose da bere, ma manca sempre la birra. Mi tocca ripiegare al
bar-ristorante lì a fianco…..una bella media non me la toglie nessuno. Devo
però sempre fare i complimenti per i prezzi! 4.50 €. Urca! gli ho detto ma il
tipo, credo il proprietario che me l’ha servita, manco ha fatto una piega,
soldi in cassa e ciao! C’est la vie!
Ripartiamo verso il Col della
Traversette ed il passaggio Louie Blanche con altre persone, un terzetto di
francesi e un paio di svizzeri di cui uno supertecnologico che aveva davanti a
sé una specie di cruscotto con: bussola, GPS, lente d’ingrandimento, orologio,
altimetro e cartine con road book, il quale mi faceva sentire un po’ leggero al
confronto ma il fatto che guidasse il gruppo non mi dispiaceva. Queste due
salite sono state micidiali, erano dritte, ma veramente dritte e durissime. Si
è pure rimesso a piovere ma solo per una mezz’oretta. Per quanto mi riguarda
essendo una tipologia di terreno che non mi dispiace sono andato benissimo.
Comincia la discesa nel vallone della Belle Combe che inizia abbastanza
selvaggiamente e rimane tale sinchè non incontriamo i 2 caratteristici
laghetti, neanche tanto piccoli. La discesa avviene in una pietraia con massi
abbastanza consistenti che hanno valorizzato i miei allenamenti nel vallone del
Davito in Valle Soana e la cosa è stata condivisa da Enzo e Marco.
Arrivati nei pressi dei due laghi,
ci rendiamo conto di quanto sono belli, con le loro acque chiare e limpide,
roba da farci un bagno, al centro di uno di questi c’era un’isola tutta da
scoprire…..
Li aggiriamo sulla destra e
giungiamo con gli svizzeri ed un altro gruppetto di francesi, nella zona del Pian
della Liere ove viene fuori la possibilità di effettuare una variante sulla
destra per arrivare al rifugio Deffeyes.
Unico dubbio sarebbe la
traversata del fiume che prende vita dal ghiacciaio del Ruitor, non che si
debba poi passare a nuoto nel lago omonimo. Il problema ci attanaglia ed il
gruppo si divide. Io con svizzeri e francesi provo la variante, Marco ed Enzo
nel dubbio scelgono di stare sulla traccia con altri e percorrono il sentiero
originale che li porta a percorrere un dislivello di circa 200 mt. in discesa
ed altri 450 mt. in salita.
Per la variante ci siamo
avventurati su una pietraia in senso trasversale non difficile ed abbastanza in
piano e poi per poter attraversare il fiume ci siamo spinti verso l’alto con
tante buone speranze. La nostra buona fede è stata premiata infatti dopo circa 15′ di marcia è comparsa all’orizzonte
una passerella, di legno solida e bellissima. L’abbiamo attraversata, tutti
tirando un sospiro di sollievo…..
Ci sono voluti solo più una
decina di minuti di salita dritta per incrociare prima una bellissima chiesetta
e quindi il rifugio Deffeyes.
Erano le 19.30 del 26.8.09 e
sembrava di essere a ferragosto. Molte squadre erano già lì, altre stavano
arrivando e tutti si organizzavano per mangiare, bere, dormire e preparare lo
zaino per il giorno dopo. Io mi faccio 2 birrette (tanto per cambiare) e
consumo cibarie che avevo appresso. Un paio di squadre decidono di partire del
l’Haut Pas che li avrebbe portati verso Morgex; io avrei fatto altrettanto ma
Marco ed Enzo sopraggiunti verso le 20.05 sono stanchi e non sono d’accordo,
quindi si resta lì per la notte. Piano piano intanto devo dire che mi ero
affinato un po’ sull’uso del GPS, ma mi organizzo lo stesso per capire a che
ora partirebbero gli svizzeri che mi danno molta fiducia.
Loro dicono che si potrebbe
andare via per le 5.00 del mattino ma io gli consiglio di anticipare un po’
come d’altronde fanno molte altre squadre.
Io ripeto sarei già ripartito per
Morgex ma intanto dopo la cena allo stesso modo cioè come tutti, sprofondo in
un sonno celestiale poco dopo le 21.00.
Alle 3.00 sono cominciati i
movimenti per la partenza di molti gruppi. Gli svizzeri alle 4.00 erano
praticamente quasi già pronti a partire e sono riuscito a convincerli di
aspettare qualche minuto affinchè fossimo pronti anche noi per poter andare via
insieme. La cosa gli è andata bene e così verso le 4.30 via verso l’Haut Pas.
La salita verso questo passo non è stata semplice sia per via della notte, per
via del percorso abbastanza impervio, per i numerosi rigagnoli d’acqua ed anche
perché il passo era abbastanza allegro ma a me comunque andava benissimo.
L’Haut Pass ci ha accolto alle
5.30 con i suoi 2.859 mt. con una frescura incredibile, un’aria pulita e sono
riuscito a fare qualche foto.
L’entusiasmo della situazione non
mi ha mai abbandonato anzi, più andavo avanti e più mi caricavo per la prova
che stavo facendo. Ero veramente nel mio mondo: l’evento, gli zaini,
l’autosufficienza, l’ambiente alpino, l’avventura, nei diversi momenti non
potevo chiedere di più alla vita. La fatica proprio non si faceva sentire…..
Un po’ problematica è stata la
prima parte della discesa verso Morgex lungo il Vallon den Haut, che credevamo
più semplice.
Nuovamente pietroni da discendere
e sentiero problematico da seguire tanto che ad un certo punto eravamo una
decina di persone che vagavano qua e là in ordine sparso con il sottoscritto
che non perdeva di vista gli svizzeri e che dedicava sempre anche un occhio a
Marco ed Enzo che ritardavano un po’.
Poi siamo riusciti a trovare la
giusta traccia che si trovava molto sull’estrema sinistra a scendere dalla
pietraia ma mi accorgo che i compagni sono rimasti abbastanza indietro tra i
roccioni perché non li vedo più e quindi, come per altro avevo già fatto, ho
urlato molto per richiamare la loro attenzione, ma non sentivo risposte tranne
quelle di un babbeo che rispondeva per Marco ma non era lui.
Mi sono pure appollaiato su dei
massi abbastanza alti per cercare di scorgere le loro figure, ma niente da fare
e gli svizzeri mi continuavano a dire di stare con loro che i miei compari si
sarebbero aggiustati con gli altri che erano poco dietro.
La cosa non mi sembrava giusta ma
mi sono fatto convincere cercando maldestramente di rallentare il ritmo per
farci raggiungere.
Fuori dalla morena la discesa era
abbastanza divertente tra boschetti, praticelli e stradine sterrate.
Ad un certo punto sulla sinistra
è cominciata la traccia con bandierine poste da Alberto Motta che ci hanno
portato alla periferia a monte di Morgex con il sole che aveva già fatto
sentire i suoi raggi.
Abbiamo raggiunto il posto tappa
di questa località dopo quasi 4 ore dal Deffeyes, è stata una bella tirata!
C’era già parecchia gente ad
accoglierci e felicemente ho scoperto che eravamo il 7°-8° gruppo in transito. Era
il luogo dove avevamo potuto far giungere un sacco con i diversi cambi e per
gli approvvigionamenti alimentari. Lì si poteva mangiare, fare una doccia,
riorganizzarsi un pochino.
Mi preoccupo di sapere dove
fossero i miei compagni e grazie al PC course felicemente scopro che dovrebbero
arrivare di lì a poco (il GPS trasmettitore lo ha tenuto Marco).
Giungono a Morgex alle 9.05,
stancotti ed affamati……ed anche un po’ così per il fatto che non li avessi
aspettati! Avevano ragione!
Gli svizzeri alle 9.15 ripartono
ed io ovviamente non posso chiedere a Marco ed Enzo di fare altrettanto quindi
lascio che si ricompongano, rifacciano gli zaini, mangino lasagne al forno ed
altro e che Enzo possa stare un po’ con la gentil consorte e prole che erano
nei paraggi.
Sono le 10.05 quando finalmente
siamo pronti a ripartire sapendo già di dover affrontare la salita infinita di
2000 mt. verso il rifugio L. Pascal e verso la testa del Licony,
Ci agganciamo ad un gruppetto di
due uomini ed una donna che viaggiano ad un passetto adeguato e poco dopo
scopriamo che stiamo sbagliando strada e quindi dobbiamo tornare indietro.
Mentre con loro mi fermo e cerco di scoprire la traccia giusta, Marco ed Enzo
proseguono verso l’indicazione Colle del Licony (con non c’entra niente con
testa del Licony) ed io devo poi urlare a squarciagola per farli tornare
indietro. Per questo hanno perso un po’ il contatto con me sino a Villotaz un simpatico borgo di 4, anzi 3 case in croce
dopo 600 mt. di dislivello con un’acqua straordinaria e freschissima di cui
tipo cammello faccio scorta interna e nelle borracce anche perché un
gentilissimo signore che si trovava lì a faceva bastoni da camminata mi avvisa
che era l’ultimo posto d’acqua prima della zona del Col Sapen. Lì aspetto i
compari ed insieme ripartiamo.
Giovedì è stata una giornata
soleggiata ma con un venticello fresco
che non ci faceva soffrire più di tanto.
Il passo è lento ma costante ed
in circa un paio d’ore giungiamo sotto i numerosi paravalanghe posti a difesa
dei canaloni che danno su Morgex.
Passiamo sotto il L. Pascal e
puntiamo verso il colle che da verso la discesa per il Col Sapen. Passiamo la Tete de la Suche e la Tete de Licony e prima con un discesone
infinito (dove riusciamo a fare scorta d’acqua ) e poi una discreta risalita
arriviamo al Col du Sapin. Dopo il Colle Entre deux Sauts si scende verso il
rifugio Bonatti dove Marco si fa un bel minestrone, Enzo pane e prosciutto ed
io…..media naturalmente e me la gusto con gioia.
Molte squadre sono lì e sembra si
fermino un po’, noi puntiamo verso il rifugio Elena. Infatti scendiamo verso
Arnuva, dove Marco fa una bella sosta per controllarsi i piedi e risaliamo
verso il Gran Col Ferret. All’Elena sorseggio una limonata calda (anzi 2) per
un totale di 50 cent. che obiettivamente mi sembrano più ragionevoli che la
cifra spesa prima. Anche qui si trovano molte squadre in procinto di
rifocillarsi ed altre già in branda. Con una tattica felina, quatti quatti,
piano piano, ci avviamo nella notte più totale verso il col du Ban Darray,
In questo caso seguiamo solo le
indicazione del GPS di cui ormai mi sento padrone……bè non esageriamo.
Fatto il colle tranquillamente,
ci buttiamo in discesa sempre seguendo la linea rossa del GPS con Marco ed Enzo
sempre preoccupati del fatto che stiamo veramente andando alla selvaggia e ciò
li preoccupa. Durante la discesa effettuata anche su terreno erboso pianto un
bel volo e il GPS mi vola dalle mani. Ci vogliono 5′ per ritrovarlo manco lo avessi gettato
apposta così lontano.
Al fondo del vallone, dopo
esserci bagnati i piedi ben bene, prima di risalire verso il Col du Nevè
Rousse, specificatamente nella zona della Chaux, decidiamo di bivaccare.
C’è un prato non molto in piano,
umido e freddo ma non abbiamo idea di cosa potremmo trovare di meglio più su.
Io in effetti sarei salito un po’ più su ma i compari sono propensi alla sosta
quindi ci si ferma. E’ mezzanotte, fuori il telone di nailon da muratore, ci
infiliamo tutto ciò che abbiamo di asciutto per proteggerci dal freddo e ci
mettiamo a riposare.
Il cielo si è fatto stellato e
non è che facesse molto caldo.
Ora la questione è che il telo ce
lo siamo messi metà sotto di noi e dai piedi lo abbiamo tirato su sopra la
testa. Siccome il prato era leggermente in discesa ed ovviamente noi cercavamo
il caldo del fondo del telo, ci spingevamo in basso creando una spinta tale da
scoperchiarci la testa. In poche parole dopo un po’ eravamo tutti al fondo del
telo in posizione fetale per non rimanere assiderati.
Per evitare tale circostanza ad
un certo punto ho svegliato tutti (svegliato?) e ci siamo tirati su tanto da
stare meglio.
Sono le 3.50 quando dal buio
profondo spuntano 3 sagome luminose da monte della nostra posizione che
avvisiamo della nostra presenza con la voce ed accendendo le frontali prima di
rimanere calpestati.
Ci riconoscono come gli
italiani e dopo averci detto che non riuscivano a trovare la traccia di
salita scompaiono nel buio lungo la strada sterrata che era sotto di noi.
Ci alziamo ed un po’ infreddoliti
partiamo verso il Colle Neve Rousse che raggiungiamo in poco meno di un paio
d’ore. Abbiamo tenuto un buon passo e lungo la strada abbiamo incrociato una piccola
baita con la luce accesa ed un cane che non si è fatto vedere ma abbaiava,
sarebbe stato un posto per bivaccare più interessante di quello che abbiamo
trovato noi.
Una volta in cima al colle è
ormai giorno e ci inoltriamo nella Combe dell’A dove la natura non manca di
farci vedere cosa è stata capace di fare.
Scendiamo sempre lungo il vallone
per un bel po’ ed incontriamo una bergera svizzera veramente rappresentativa
del suo ruolo che ci chiede informazioni sulla presenza di sue vacche più a
monte.
Gli raccontiamo cosa stiamo
facendo e lei strabilia un po’ ma ne rimane affascinata poi, spiegandole
l’obiettivo che avevamo ci indica il Col du Reveden che era proprio alla nostra
sinistra.
Ora qui sono cominciati i casini.
In sintesi la prima variante
delle due che ci avevano spedito era per aggirare questo colle in caso di
arrivo notturno o di brutto tempo e si poteva decidere di farla o meno, ma Praz
de Fort la si sarebbe raggiunta ugualmente, allungando la strada di 5 Km. questo se avessimo scelto di fare
la variante.
Questo era quello che avevano
spiegato forse bene in francese ed in inglese ma non in italiano e quindi noi,
anzi io, seguivo la traccia del GPS che mi portava verso valle e poi pur di
prendere quota ci si è avventurati per questo canalone parallelo a quello che
portava al Reveden.
Quando ci siamo resi conto che
così non andava bene avremmo potuto fare un canale verso sinistra e tagliare in
quella direzione passando sulla cresta ma non eravamo sicuri di cosa avremmo
potuto trovare.
Per evitare rischi siamo riscesi
un po’ e tagliando su una pietraia siamo finalmente arrivati nella traccia
giusta, dove abbiamo subito potuto notare molte altre squadre che stavano
risalendo.
La salita è stata molto dura ed
Enzo era già preoccupato per la discesa che era stata preannunciata delicata ed
a rischio. Lui e Marco si erano stancati un po’ della tirata fatta ed erano
anche un po’ provati per non aver dormito su un letto di rose….
In sintesi in questo frangente
non avevo traccia da seguire con il GPS perché avevo registrato la variante e
quindi era mio intento non perdere il contatto con altri gruppi.
Niente da fare proprio non
riuscivo a farmi seguire e quindi li ho aspettati parecchio e solo con l’uso
del road book ed anche con un po’ di fortuna siamo scesi verso valle
incontrando le casupole di La Verne
e proseguendo poi per Prayon, un piccolo borgo lungo la strada principale per
Praz de Fort. Il paesino era veramente piccolo e simpatico e ci siamo portati
verso il locale che faceva da riferimento per l’eventuale pasto. Nei paraggi
c’erano già tutti quelli che ci avevano superato. Qualcuno godeva dell’appoggio
esterno (tra cui i francesi con la signora bionda estremamente organizzati) ed
altri erano già comodamente al tavolo a mangiare. Marco ed Enzo non vedevano
l’ora…….si sbafano un piattone di pasta che li soddisfa alla grande. Io non mi
faccio mancare una bella dose di birra cercando di darci dentro con le mie
provviste. Finita l’abbuffata ci hanno messo poco ad accappottarsi per un
riposino in un praticiello al fresco di una casetta lì vicino. Per fortuna l’idea
era di farsi solo un’oretta.
Comunque per il posto che era, il
locale lavorava un casino, ottimi piatti ed il prezzo veramente molto decente.
Mentre i soci si riposavano io ho
ulteriormente riordinato lo zaino e visto il bel sole ho messo ad asciugare la
roba che avevo umidiccia.
Passa una mezz’oretta ed arriva
il gruppo del TRAB.
Tra la sveglia, il ricomponimento
fisico, il riassetto dello zaino e l’andi si va via verso le 13.25.
Raggiungiamo Praz de Fort e
prendiamo su per una stradina asfaltata e ripida che porta verso il Vallon
d’Arpette de Saleina, Glasier d’Orny, La
Breya.
Questa salita è stata anche dura
ed impegnativa, sotto un caldo sole d’agosto che non ci lasciava un attimo. Tra
l’altro l’acqua scarseggiava e solo quasi alla sommità abbiamo potuto fare
rifornimento in un ruscello. Marco era veramente stanco, aveva male alle
ginocchio ed ai piedi e cominciava ad essere un po’ preoccupato della sua
condizione. Tra l’altro il nostro passo aveva subito un rallentamento bestiale.
Dopo più di un paio d’ore siamo
ai piedi del ghiacciaio d’Orny, non lo conoscevo e devo dire che è veramente
spettacolare.
Per cominciare la discesa si
faceva il giro intorno ad una specie di capitello. In quel momento mentre io
aspettavo di essere raggiunto da Marco, Enzo passa avanti e viaggia su senza
rendersi conto di dover girare. Sta di fatto che mi è toccato fare un bel po’ di
salta veloce per andare a riprenderlo e tornare sulla retta via. Tutta la parte
finale della salita e quella iniziale della discesa è stata fatta nuovamente
tra i pietroni e non è stata semplicissima.
Cominciamo la discesa verso
Champex raggiungendo altri 2 della corsa e ci fidiamo ciecamente dei loro
movimenti. Sbagliato! Ad un certo punto ci si accorge che senz’altro eravamo
sulla strada sbagliata e cioè in un vallone parallelo a quello che dovevamo
fare. Porca boia altra strada in più da fare!
Ho provato a fare un taglio
veloce verso sinistra lungo una pietraia attraversando anche un bosco di drose
e rischiando pure di farmi male, per vedere se il cursore del GPS si avvicinava
abbastanza alla traccia ma eravamo troppo lontani. Capito questo torno sui miei
passi e ribecco gli altri più in basso.
Continuiamo a scendere
pregustando chissà quale dislivello da dover poi risalire e dopo una decina di
minuti troviamo una indicazione per Champex, meno male!
Per fortuna l’avvicinamento a
Champex è poi un traverso non troppo in piano ma neanche troppo in salita tra
bellissimi boschi. Nel giro di neanche di un’oretta bazzichiamo nei pressi
della bellissima località svizzera e sentiamo gli incitamenti della folla che
evidentemente ce l’hanno con quelli della CCC e non andiamo in quella direzione
ma verso il fondo lago dopo aver avuto indicazioni sull’ubicazione dell’Auberge
du Bon Abri ad indigeni locali usciti da una villetta bellissima sul lago.
Arriviamo al posto tappa dove
troviamo molta gente, chi mangia, chi si riorganizza, chi già dorme. Con Enzo
ci diamo una sciacquatina veloce e ceniamo. Questa volta abdico per una
minestra calda ed un paninazzo di pane e prosciutto, naturalmente il tutto
accompagnato dalla mia bevanda preferita. Marco opta prima per una doccia e ci
raggiunge. Loro prenotano 2 letti in stanza io mi accontento di una branda
fuori sotto il tendone che va benissimo e dove trovo tanta altra gente.
Sono le 22.00 di giovedì sera e
la pennichella si protrae sino alle 4.00 del mattino, molti sono già partiti,
altri stanno arrivando solo adesso.
Verso le 4.20 anche noi siamo
pronti a viaggiare. Marco si lamenta molto della sua situazione piedi, il
dolore lo attanaglia e non riesce a camminare tanto è vero che dopo 50 mt.
fuori dal locale decide di fermarsi e tornare indietro.. La sua prova finisce
qui.
C’è un momento di smarrimento e
tristezza perché la voglia di arrivare insieme era tanta.
Io ed Enzo ripartiamo e riusciamo
a trovare il sentiero per la Fenetre
d’Arpette dopo 10′ e
solo dopo che un volontario proprio non ci porta all’imbocco del sentiero.
Enzo mi raccomanda di non
eccedere con il passo. A parte il primo pezzo che è praticamente una strada
sterrata, poi comincia un bel sentiero, anche ben in salita molto divertente
che diventa un po’ più impegnativo nella parte sommitale del colle.
La discesa ci porta verso la Buvette du Glacier che avrebbe
dovuto essere un locale dove Enzo già pregustava di poter mangiare invece era
chiuso e quindi poco dopo aver imboccato la salita per il Col della Balme si
ferma a ruminare pane e prosciutto, è veramente senza fondo.
Dopo più di un’ora di salita
incrociamo una locanda simpaticissima con un’allegra famigliola che la
gestisce. C’erano anche i nonni e lì prendiamo un thè con Enzo che non si fa
sfuggire un pezzo di torta. Il sentiero prosegue in mezza salita tra mirtilli,
rododendri, erbe profumate, insomma uno spettacolo unico con odori fantastici…
Al col della Balma ci fermiamo
pochi minuti e poi via verso Catogne dove incrociamo il sentiero dell’UTMB che
seguiamo praticamente sino a Vallorcine.
Qui troviamo un altro posto tappa
che effettivamente e del’UTMB ma possiamo anche noi approfittare di qualcosa…un
po’ poco a dire il vero. Enzo pregustava il solito pastasciuttone ed invece ci
dobbiamo accontentare di pane, formaggio, salame, biscotti. Molta gente sul
posto, che è già calda perché a breve non dovrebbe tardare lo spagnolo che
vincerà l’UTMB, ci appioppa applausi e bravo e forse qualcuno immagina che
fatica abbiamo già fatto per giungere sino a quel punto.
Nel giro di poco molte squadre
arrivano e ripartono da Vallorcine. Fa caldo mentre imbocchiamo il sentiero per
Lo Chalet de La Loriaz.
Anche qui il sentiero è irto e
nervoso e poi fa caldo. Sul percorso troviamo le tre ragazze belghe, che
secondo me sono bravissime e coraggiose, di cui 2 dormicchiano in una zona
ombrosa ed una consulta carte varie con un tipo che forse è il papà di una di
loro.
Continuiamo sulla nostra strada,
Enzo fatica molto per la stanchezza ma soprattutto per le piaghe ai piedi ma
tiene duro e non vuole mollare io cerco di incoraggiarlo a resistere ed
agganciare altri gruppi e lui mi riempie di maledizioni
Contornate da un non me ne frega
niente di quando arriviamo, c’è tempo sino a domenica…
Comunque si va avanti e si
raggiunge il gruppetto di James mentre ripartono dalla zona dello Chalet de La Loriaz (ch è poi anche un rifugio),
dove facciamo scorta di acqua freschissima.
Una scena simpaticissima è stata
quando Enzo passando tra gli edifici del rifugio
Si ferma a sedere ad un tavolo
fissando una gallina sotto di esso ed
una gentile signora del rifugio si affretta a dirgli che la gallina non deve
essere mangiata….
Si ricomincia dopo pochi minuti a
camminare sempre abbastanza lenti ma comunque strada se ne fa. Il sentiero per
il Lago del Vieux Emosson non è difficile, anche se in alcuni tratti è protetto
da corde e catene. Spesso per il dolore Enzo traballa nei punti un po’
difficile e questo a volte mi fa preoccupare e come me, anche la gente che ci
incrocia.
La direzione è quella per la
cabane del Vieux Emosson dove arriviamo dopo aver fatto un dislivello di quasi
200 mt. Non abbiamo perso il contatto con altre squadre, ci tenevo a questa
cosa perché in quel punto io avevo inserito la seconda variante sul GPS e non
volevo provare a salire verso la parte più alta ed aspra del percorso senza una
traccia precisa.
Enzo ha veramente la faccia da
cane bastonato e quasi nei pressi del locale mi dice che non avrebbe più
continuato….. La cosa non mi riempie di gioia!
Arriviamo al rifugio e troviamo
altri podisti, come al solito chi beve, chi pasteggia chi si riposa. Enzo non
fa tante parole decide di prendere 2 mars di cui uno finisce direttamente nello
stomaco mentre sorseggia una Coca e l’altro in tasca. Poi dice via si và!.
Sono felice della sua scelta di continuare e soprattutto di non esserci fermati
molto. Preferisco essere davanti ai gruppi che sono ancora lì perché sono
convinto che saremo senz’altro raggiunti. La traccia che costeggia il Lago du
Vieux Emosson è affascinante e lunghetta con il sole che si stampa lungo le
pareti alla nostra sinistra. Dopo un mezz’oretta iniziamo a salire verso
l’alto. Nella zona si potrebbero vedere le tracce dei dinosauri ma purtroppo
qualcosa mi dice che non è il momento. Intanto verso il fondo valle vedo gente
che procede verso di noi. Durante la salita il territorio si fa caratteristico
delle alte quote e la flora fa solo più spazio a roccette. La nostra attenzione
viene attirata da una mamma stambecco e dal suo piccolo che si aggirano con
perfetto agio tra aspre rocce.
Siamo raggiunti dal gruppo di James
mentre passiamo la zona della sommità del Cheval Blanc. Ora siamo in 6: loro 3,
io ed Enzo ed uno che era rimasto da solo. Siamo uniti quando le cose si
cominciano a fare serie. Infatti nel percorrere alcuni tratti di cresta
ritroviamo numerose catene e corde fisse. Poi ci si incammina nuovamente e
quindi di nuovo corde fisse. Queste ultime su un tratto veramente tosto.
Viaggiavamo su un filo di cresta e le pareti ai nostri fianchi sono veramente
impressionanti. Ho preso le bacchette di Enzo per dargli modo di essere più
tranquillo nella salita e cerco di fargli sentire la mia presenza per farlo
stare più tranquillo. Più che altro si preoccupa della discesa che ci avevano
altresì rappresentato come veramente difficile. Comunque Enzo è stato
bravissimo considerando la sua scarsa preparazione alle attività alpinistiche.
Pian piano si apre ai nostri
occhi un paesaggio di quelli che credo non potranno essere mai dimenticati.
Siamo sulla cima di una montagna che è solo di 3100 mt. ma in quel momento
sembra di essere ad 8000 mt.. Uno strato di nuvole morbide sono ai nostri piedi
mentre diverse cime di montagne difficili da riconoscere emergono da questo
mare cotonato. Tutti continuiamo a roteare in silenzio a 360° per carpire ogni
angolo di questa cartolina e facciamo molte fotografie. Ad un certo punto James
mi chiede se voglio un po’ di thè. Tanto per gradire ne trangugio un sorso e ..porca
boia! Altro che thè, era una cosa tipo brandy o cognac che ho paura, visto che
ho lo stomaco non troppo pieno, mi faccia sbandare poi in discesa. Non vorremmo
più scendere da quel paradiso ma il sole ha ormai ritirato i suoi caldi raggi
dietro le cime all’orizzonte ed una luna tonda e chiara ha quasi preso il
sopravvento. Non dobbiamo più perdere tempo, bisogna scendere veloci.
Affrontiamo una zona facile con uno svizzero che ci sta davanti mentre James
con il GPS segue più dietro. Poi il terreno comincia a farsi più difficile,
scivoloso con massi più grandi. Dopo una decina di minuti suona il telefono di
quello che era rimasto da solo e viene avvisato dalla sua ragazza che il P.C.
corse gli segnala che siamo fuori traccia. Dovremmo un po’ rientrare verso una
cresta di sinistra ma proprio non ci sembra il caso perché dovremmo risalire
abbastanza e non abbiamo più voglia. Per fortuna 2 del gruppo conoscono la zona
e presuppongono che al fondo dovremmo rientrare sulla traccia giusta. La cosa
viene confermata da James che intanto aveva ripreso a fare funzionare il suo
GPS.
Scendendo notiamo altre lucine
che provengono da monte alla nostra sinistra e una volta al fondo del canalone
scopriamo che si trattava del gruppo di Pietro. Che bello siamo di nuovo
insieme! E’ veramente una particolarità di questa prova il passarsi, ripassarsi
e ritrovarsi lungo la strada.
Scendiamo a questo punto tutti
insieme lungo una traccia che sembra non finire mai, il rifugio du col
d’Anterne sembra ancora abbastanza lontano.
Il gruppo con James ci lascia
mentre noi sostiamo alcuni minuti in una baita con dei ragazzi che stavano per
passare la notte.
Ricominciamo a scendere ed a un
certo punto Pietro decide che deve per forza riposare per non correre rischi,
infatti si sta letteralmente addormentando in piedi. Montiamo la sua tendina,
resta Roby con lui mentre io, Mauri ed Enzo proseguiamo verso il rifugio. Ci
siamo un attimo smarriti e non è facile riprendere la traccia. Ci sono state di
aiuto le tre giovani belghe ricomparse dal nulla tenebroso alle quali ci
accodiamo frettolosamente e con le quali giungiamo in poco meno di un’ora al
d’Anterne. Essendo stati tutti sensibilizzati relativamente ad eventuali nostri
passaggi ad ore improbabile, anche qui c’è qualcuno a darci ospitalità. Una gentile
ed anzianotta signora un po’ stralunata forse dalla fatica dello ore trascorse
a lavorare ed un giovane ragazzo. In un attimo tra noi e le ragazze creiamo un
bel casino mentre il gruppo di James con il podista solo stavano già mangiando
qualcosa. Mauri decide di prendere un gelato, io ed Enzo qualcosa di caldo.
Devo medicare i piedi ad Enzo, sono veramente in uno stato pietoso e mi
stupisco di come possa essere riuscito ad andare avanti. Il fetore del momento
è micidiale e penso che ognuno dei presenti abbia contribuito da far suo a
metterci del proprio. Dopo un attimo Enzo va a dormire in un vano del piano di
sotto del rifugio senza per altro essersi messo d’accordo su orari di sveglia e
ripartenza. Maurizio invece va nella casupola a fianco del rifugio. Durante
queste fasi ho conosciuto un ragazzo di Moena di cui adesso non ricordo il
nome. Lui correva con un ragazzo austriaco ed uno sud tirolese. Si sono divisi ben
presto e lui era rimasto da solo a portare avanti la gara senza GPS e con pochi
appunti, non so come abbia fatto. Comunque era mezzo scassato zoppicava
vistosamente, aveva male ai piedi, era stanco ma voleva assolutamente finire la
sua fatica. Ci siamo messi seduti e si è appuntato le indicazioni del mio road
book su un pezzo di carta. Io avrei voluto quasi quasi andare con lui per non
lasciarlo solo ma ho evitato. E’ partito da solo verso le 3.00 e non nascondo
che ero preoccupato per lui.
Verso le 3.20 sono arrivati
Pietro e la Roby. Pietro si era
ripreso alla grande e nel rimettersi in quadro mi propone di radunare il gruppo
e partire belle che subito. Sono assolutamente d’accordo però gli ho chiesto di
andare lui a svegliare Enzo che si era messo in branda da poco per dirglielo.
Non volevo essere caricato di improperi.
Io mi sono preso la briga di
svegliare Maurizio ed abbiamo anche fatto un po’ di caccia al tesoro per
trovare la Roby che quatta
quatta si era anch’essa imboscata nella zona brande.
Insomma nel giro di ¾ d’ora dopo
che ho chiuso gli occhi qualche minuto eravamo tutti belle che pronti e via
verso Chamonix.
Vallone in discesa de Les Londs
de Moede e quindi carichi di entusiasmo verso le 6.00 attacchiamo l’ultima
salita verso il colle du Brevent.
Prima Roby poi io ci alterniamo
davanti. Mi sa che io l’ho presa un po’ troppo allegro perché dopo 25′ il popolo si lamenta e quindi passa
davanti il Pietro…..che a dire il vero non è che tenga un passo tanto più
leggero del mio.
Non ci accorgiamo del tempo che
passa ed arriviamo al colle che come tutti gli altri ci fa un’impressione bellissima.
Facciamo qualche foto e dei video poi mi accorgo che più su una figura marcia
pian pianino.
Lo raggiungo e mi accorgo che era
lo svizzero tecnologico con cui avevamo fatto parecchia strada. Ha un forte
problema al tibiale e si sta arrabattando per arrivare alla fine.
Mi dice di andare avanti che lui
sarebbe arrivato al fondo tranquillamente.
Evviva comincia finalmente la
discesa, l’ultima discesa per il traguardo!
In alcuni tratti è divertente in
altri è abbastanza ripida, oramai non ci preoccupa più nulla, non sentiamo più
neanche la fatica e non vediamo l’ora di arrivare al fondo.
Ci carichiamo sempre di più
specialmente in vista delle prime case di Chamonix dove la gente comincia ad
applaudire.
Corriamo come se non avessimo
fatto tutta quella strada prima e siamo sempre più felici. Giretto d’ordinanza
per la cittadina e finalmente scorgiamo il traguardo.
Non c’è la gente che sappiamo ci
sarebbe stata 2 ore più tardi e sino al pomeriggio ma il pubblico presente ci
scalda gli animi lo stesso con forti applausi ed incitamenti.
Ci prepariamo alla commedia che
abbiamo ideato, prendiamo quindi Mauri sotto e sempre correndo facciamo gli
ultimi 50 mt. che ci separano alla Cathrine Poletti e da altri
dell’organizzazione.
Ora è davvero finita, ci abbracciamo
e ci baciamo, complimentandoci l’un l’altro per l’esperienza vissuta.
E’ stato davvero
entusiasmante tutto quello che è
successo e semplicemente dico che non potrò mai dimenticare l’esperienza
vissuta. I passi che mi hanno portato in posti incantati a volte anche con
molta fatica, il calore della gente, i profumi della flora, la freschezza delle
acque, la gioia di condividere un viaggio così impegnativo con altre persone
con le quali ci siamo ritrovati sul palco alla fine della manifestazione ancora
abbracciandoci e stringendoci come grandi amici senza ne vincitori ne vinti e
con gli occhi di qualcuno inumiditi da un po’ di commozione.
Le campane che ci hanno dato come
ricordo della PTL erano tutte uguali e per più di 10′ le nostre braccia senza fatica le
hanno fatte suonare a festa.