La Sila3Vette, la sua magica sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto – Di Emanuele Iannarilli
Ho pensato molto a cosa scrivere sul mio report alla Sila3Vette. Ho pensato durante la notte di venerdì dopo il mio sciagurato ritiro, ci ho pensato durante la mattinata, ci ho pensato durante le 10 ore di viaggio di ritorno insieme a uno dei vincitori della gara 140 km per Fat Bike.
Ci ho pensato e ho capito davvero qual è lo spirito giusto per essere parte di un evento del genere, in un momento del genere, in un posto del genere.
Ogni gara, prevede un numero di pettorale, un tempo di percorrenza, una classifica finale. Tralasciando gli aspetti organizzativi, immani, e tralasciando le difficoltà negli anni più bui della nostra storia recente, ho capito che la Sila è una gara, meglio, un’avventura a sé stante.
La Calabria, in particolare la Sila sono poco conosciuti al turismo sportivo. Perlomeno a quel turismo “esterno” e non locale che sa che alla Sila si scia durante l’inverno e ci si diverte in mezzo ai boschi durante l’estate. Arrivare a Camigliatello, di sera, durante un periodo di pandemia non ti trasmette certo quell’atmosfera da località “climatica” e turistica. Tutto appare quasi a metà tra la voglia di rinnovamento e la voglia di qualcuno di abbandonare tutto e spostarsi altrove. Basta farsi un giro nel piccolo borgo, trafitto nel mezzo dalla provinciale che sale da Cosenza, uscire poco fuori e ci si accorge che qualcuno qui, qualche anno fa, sperava o sognava qualcosa di diverso. Case, seconde case, che avrebbero avuto voglia di una vita e una storia diversa. Luoghi, parchi, iniziative che speravano, hanno sperato e in qualche modo sperano che qualcuno o qualcosa faccia il miracolo per rendere Camigliatello, ma più in generale la Sila un posto che regali emozioni montane. Regali posti dove poter trascorrere degni momenti di relax e grandi giornate di escursioni. Spesso quelle case hanno perso la speranza. Lo capisci da una finestra aperta, da un lucchetto ad un cancello arrugginito che aspetta chissà da quanti anni una chiave ad aprirlo. Quella chiave ridarebbe speranza non solo a lui di poter rimanere inutilizzato per giorni, mesi o anni, ma ad un posto che un’occasione la merita. Eccome se la merita. Noi, siamo la loro speranza, la speranza che qualcuno per primo rompa qualche catena e riapra qualche casa, qualche attività e dia il via ad una rinascita di un territorio inesplorato e magico.
Non mi dimentico della gara, perché l’evento è solo un modo per far conoscere, portare la curiosità, la scoperta sui nostri smartphone o sui nostri pc.
La Sila3Vette è una lotta tra la voglia di mandare a quel paese tutto e guardare oltre e la voglia di incaponirsi in un’opportunità di rilancio. Che sia una, non l’unica si spera, ma che ci sia. La speranza la nutrono e serbano dentro i loro cuori Pippo e Mara. I loro cuori sono dentro quei boschi, sono dentro quei lucchetti chiusi, dentro quei parchi abbandonati, dentro quei locali serrati da troppo tempo, dentro tanti vorrei ma non posso. Ognuno deve pensare di poter dare un contributo e loro credono che la Sila3Vette sia un regalo alla loro terra. Ci hanno visto giusto? Si, cavolo, ci hanno visto giusto. Sanno che dare vita ad un’avventura in semi solitaria, in prevalenza in notturna, per tante, tantissime ore su un altopiano sconfinato ti lascia un graffio nell’anima che difficilmente riesci più a curare. In questo caso però esistono due tipi di persone. Una che si lascia graffiare in ogni istante, fin dai primi giorni dopo l’iscrizione. Dalla partenza alle prime salite ai primi passi sulla neve. Alle discese, le salite impervie e a volte scomode. Alle lunghe corse sulle piste innevate che siano con le scarpe da trail, trekking, gli sci o con le due belle ruote “ciccione” delle Fat Bike. Ci sono quelli che ad ogni metro non vedono l’ora di scoprire ancora cosa c’è da lì a poco e si lasciano portare dai loro strumenti tra uno sguardo curioso di una volpe, l’ululato di un lupo oppure l’abbaiare chiassoso di un cane. Ci sono altri invece che col cuore non ci sanno fare. Ci sono quelli che al cuore preferiscono la mente. Venire ad un evento del genere con la mente e non con il cuore è sbagliato come concetto proprio. E’ sbagliato l’approccio, è sbagliata la voglia di voler sapere tutto a tutti i costi senza lasciare che possa succedere qualcosa di bello durante il cammino. Ci sono quelli che il cammino se lo immaginano una scoperta, da vivere metro per metro e quelli che invece lo vorrebbero pronto, preconfezionato e così regolare da renderlo piatto, insensato, senza un briciolo di passione e volontà di scoprire, scoprirsi e cercarsi. Ogni metro sulla Sila è così. E’ un cercare la propria strada, incontrare compagni di viaggio. O anche stare da soli, fare i conti con sé stessi e uscire forti con le proprie gambe con un’immensa botta di autostima e consapevolezza.
La Sila ti presenta il conto chilometro dopo chilometro. La gara stessa te lo presenta quel conto. Non è vero che non è per tutti. Credo più semplicemente che sia per cuori “romantici”. Sia per esploratori, avventurieri, aspiranti tali. Sognatori, eterni “bambini” alla ricerca di qualcosa che possa fargli riscoprire un senso diverso ad alcune giornate sempre uguali, sempre piene di niente e poco immerse nella scoperta dei propri limiti, delle proprie paure. E’ facile correre di notte da soli in un ambiente che non conosci, con solo un GPS a portata di mano? No, la risposta è no? E’ facile sapere di partire alle 8 di mattina ed essere coscienti che nelle prossime 24,36, in alcuni 48 ore sei tu, te stesso e ogni tanto qualche supporto ben assestato? No, non lo è. La Sila3Vette non ti offre comodità. Ti propone dal principio una #sfidacontestesso prima che con gli altri. Devi accettarla da subito. Devi accettare il fatto che non sarai aiutato se non quando espressamente programmato e richiesto. E’ un modo per darti la possibilità di accettarti, accettare un territorio che in alcuni momenti ti sbarra la strada tra fili spinati, muri di neve, perdita di traccia, mancanza di rifornimento, mancanza di qualcuno che ti dia un sostegno. D’altronde la vita a volte non è forse così?
La gioia della vittoria, della prestazione da sempre è qualcosa di appagante. E’ giusto che sia così. Alla Sila la prestazione prima di tutto che di un piazzamento ha bisogno della tua preparazione mentale, prima che fisica. Essere al 100% pronti fisicamente non ti regala la certezza di arrivare fino alla meta e di scoprire in lungo e in largo un posto che credo abbia due possibilità: di farsi amare o di farsi odiare. Devo essere estremamente sincero. Non credevo minimamente che mi potesse colpire. Non credevo che un’avventura del genere in un posto del genere potesse lasciarmi quel graffio sul muro dove ho disegnato la mia anima che si aggiunge ad altri graffi frutto della voglia di richiudere e sanare le ferite di “battaglia”. Me ne ha lasciate due di ferite. Una su quel muro e una fisica. La seconda si cura col tempo, la prima si cura tornando a farsi graffiare ancora e immolare la propria mente ad un viaggio faticoso, a volte crudo ed estremo ma che poi, poi, alla fine ti regala un dono che porti con te nel tempo.
C
’è da migliorare? Eh si che c’è. Ma ciò che penso e ciò che pensate porgetelo a chi si è fatto un mazzo tanto per regalarvi la scusa di darvi una possibilità di vita, di divertimento. Con garbo, con rispetto del lavoro, della fatica, della disponibilità. Con sincerità e senza pretendere nulla in cambio. Il miglioramento passa dalle esperienze fatte sul terreno a “buttare il sangue”. Passa dalla voglia di dare un contributo fattivo alla rinascita non tanto di un singolo evento, ma di una comunità che in un altro contesto sarebbe un’eccellenza primaria ma che alle longitudini con le quali deve i fare i conti risulta essere ingiustamente penalizzata. Passa dalla voglia di tornare il prossimo anno e di vedere qualche lucchetto in meno, qualche finestra aperta in più in segno di speranza e crescita.
Di Emanuele Iannarilli