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Tra sogni, pioggia, fatica, vipere e avversari Lorenzo Trincheri racconta la sua Marathon des Sables


Conclusa con un entusiasmante 6° posto la 24a
Marathon des Sables, considerata la gara podistica più massacrante, Lorenzo
Trincheri, 39 anni il prossimo 2 maggio, agente immobiliare di Dolcedo (Im),
tesserato per l’Us Maurina Imperia (Fidal) e per l’Associazione Oltre (Csen), è
rientrato a casa e ci ha reso partecipi di questa sua nuova straordinaria
avventura, un’ impresa condivisa con altri 812 concorrenti (770 all’arrivo,
solo 42 i ritirati) di 39 diverse nazionalità. Per i colori italiani, oltre a
Trincheri, nei primi 15 si sono piazzati Marco Olmo (12°) e Alessandro
Tomaiuolo (14°).

Lorenzo Trincheri, perchè la
Marathon des Sables?

«E’ sempre stata il mio sogno. Da quando nel 1993, a
23 anni, ho deciso di smettere di fumare e di fare una vita sedentaria,
accendendo la passione per la corsa e il confronto con i limiti umani. Per caso
ho scoperto di avere anche buone doti podistiche e così ho proseguito, sino a
vestire la maglia azzurra e vincere l’oro a squadre ai Mondiali ed agli Europei
della 100 km. Le lunghe distanze sì, ma col tempo ho preso sempre maggior
confidenza con i percorsi fuoristrada e con la salita. Come per tutti i veri
sogni della vita, occorrono molto tempo e tanta umiltà per realizzarli. Il
primo approccio col deserto è stato due anni fa, con la 100 Km del Sahara, uno
scherzo in confronto alla Marathon des Sables. L’anno scorso, finalmente, il
coronamento… ma nonostante l’inatteso ottavo posto finale, non ero riuscito a
dare il massimo, anche per via dell’inesperienza. Per cui sono voluto tornare,
a quasi 39 anni, a misurarmi nuovamente con la sabbia del deserto e con me
stesso.

Cosa è successo alla
vigilia? Si è temuto che la gara venisse annullata…

Il giorno del nostro arrivo in
Marocco si è scatenata una pioggia torrenziale, che ha provocato una vera e
propria alluvione. Ci sono stati momenti di preoccupazione. Alcuni mezzi sono
stati portati via dalla furia delle acque, altri sono rimasti bloccati, tanto
che l’organizzazione non ha potuto allestire nei tempi previsti il campo-base
per la partenza. Il nostro trasferimento nel deserto è stato rinviato di due giorni,
con il rischio che la competizione saltasse per problemi di sicurezza, poi
fortunatamente poi il tempo si è messo al bello. Gli organizzatori sono stati
bravi a riportare tutto nella normalità. Sono state cancellate due tappe, la
prima e l’ultima, che di solito sono le più brevi. La gara si è svolta nella
massima regolarità, con un totale di oltre 200 km. E per compensare la
cancellazione della tappa inaugurale di domenica 29 marzo, quella di mercoledì
1 aprile è stata portata a 91 km, la più lunga di sempre della Marathon des
Sables.

La Marathon des Sables è una gara davvero così massacrante e singolare?

Al di là del clima, della
lunghezza e del tipo di percorso, rispetto ad altre gare la Marathon des Sables
presenta una notevole difficoltà in più: la convivenza col deserto. Occorre
sapersi adattare, sapersi alimentare, riuscire a riposare. Si vive per una
settimana con il proprio zaino, con la poca acqua e la tenda a sei posti, che
l’organizzazione mette a disposizione. Nelle pause ci si deve preparare da
mangiare, medicarsi i piedi ed il corpo. E’ una gara che necessita di una lunga
e accurata preparazione. Se quest’anno non ho avuto problemi ai piedi è grazie
al fatto di essermi allenato a volte andando a camminare nel bosco di Dolcedo a
piedi nudi. E poi c’è una grossa componente mentale, sapersi gestire è
fondamentale.

In più si corre sempre con
lo zaino sulle spalle…

Questa è una complicazione in
più. Deve contenere tutto il necessario per una settimana, compresa
l’attrezzatura, dalla bussola ai pentolini per cucinare. E poi liofilizzati,
barrette energetiche, formaggio grana e anche un po’ di olio extravergine
d’oliva.  Inoltre l’organizzazione, per
motivi di sicurezza, obbliga i partecipanti a dotarsi di un razzo e del
road-book, il libro con il tragitto quotidiano. Sono partito che pesava quasi
otto kg, cui va aggiunto un litro circa di acqua che portavo ogni giorno con
me. Lo zaino al traguardo finale era meno di tre. Tra l’altro il regolamento è
molto severo. Ad ogni arrivo di tappa, ai primi dieci della classifica, viene
sempre controllato il contenuto.

Soddisfatto di com’è andata?

Assolutamente sì. A conti fatti,
il sesto posto è il massimo che avrei potuto ottenere. Meglio di me hanno fatto
solo quattro formidabili africani, tre marocchini e un giordano, e lo sloveno
Vencelj, che non conoscevo, ma che devo dire ha dimostrato ottime doti. Ho
corso diversi tratti al suo fianco ed anche ne tratti in salita, quelli che io
prediligo, era dura tenergli il passo. Alle spalle mi sono messo però fior di
campioni, dallo statunitense Wardian, autentico big negli Usa sulle lunghe
distanze, dalle maratone ai 50 a 100 km, ad un nutrito e qualificato gruppo di
maratoneti ed ultramaratoneti spagnoli, portoghesi, francesi, britannici e
svizzeri. Ho corso con grande regolarità, classificandomi sempre tra il 7° ed
il 10° posto. Come mi aspettavo, il meglio di me l’ho dato nella tappa più
lunga, tagliando il traguardo al 7° posto e togliendomi la soddisfazione di
fare meglio di tanti grandi specialisti.

Gli africani sono davvero imbattibili in questo tipo di gare?

Penso proprio di sì, e non solo
per questioni fisiche. La loro abitudine al clima, al tipo di vita e di
alimentazione, li pone un gradino sopra tutti. Molti di loro conoscono
perfettamente il territorio, vivono da quelle parti. E’ proprio la loro gara.
Inoltre possono schierare numerosi atleti di alto livello. Quest’anno pur
essendone ritirati un paio, compreso Lahcen Ahansal, con più di dieci successi
nel palmares, ce n’erano almeno altri tre imprendibili. Impossibile competere
anche tra le donne con Didi Touda, marocchina di 40 anni, 33esima assoluta, la
quale ha rifilato un’ora alla statunitense Meghan Hicks.

Per preparare questa gara e
durante la corsa ci sono state persone che ti hanno particolarmente aiutato?

Se non fosse per Marco Olmo, un
vero mito, probabilmente non sarei mai riuscito a disputare questa gara ed a
terminarla in questi due anni così in alto in classifica. I suoi consigli, sia
per quanto riguarda preparazione e preparativi, sia durante la corsa, sono
stati preziosissimi. L’esperienza gioca un ruolo fondamentale, non a caso molti
dei primi classificati hanno intorno ai 40 anni. Olmo è un discorso a parte, ha
un fisico incredibile. Ha corso la Marathon des Sables per ben 14 volte,
riuscendo anche a salire sul podio. Nella tappa più lunga dà sempre il meglio
di sé e anche questa volta ha fatto faville, concludendo 9°. E a 60 anni
riuscire a piazzarsi 12° assoluto nella graduatoria finale è un risultato
straordinario. Quest’anno inoltre ha vissuto questa straordinaria esperienza
l’amico Valentino Mattone, 59enne 
imperiese che nella vita fa anche il maestro di sci, il cui sostegno
morale e materiale è stato davvero importante. Tra l’altro, merita i
complimenti perché, ancorché debuttante, ha brillantemente portato a termine la
gara, 284°, niente male.

Cosa significa terminare la Marathon des Sables?

Viverla e riuscire a portarla a
compimento è qualcosa di straordinario. Difficile descrivere certe emozioni.
Basta pensare che dopo l’ultima tappa con Valentino Mattone ci siamo
abbracciati e, per la stanchezza e la gioia, abbiamo pianto come due bambini.

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai avuto nel corso della
settimana?

Per fortuna non ho avuto nessuna
crisi né inconvenienti, solo nel corso dell’ultima tappa alcuni problemi
fisici, dovuti alla fatica ed al tipo di alimentazione, non mi hanno permesso
di correre al massimo. Naturalmente, avendo dato tutto, a fine gara ero molto
stanco, ma non ho sofferto particolarmente né il caldo, che quest’anno ha
risparmiato i partecipanti, nè fame e sete. Ho avuto invece difficoltà a
riposare, non dormivo più di 3-4 ore a notte. In verità c’è stato anche un
momento di paura. Una sera, mentre ci apprestavamo a riposare, uno dei miei
compagni si è accorto di un ospite indesiderato: una vipera. Per fortuna la
prontezza di Paolo Venturini, abile maratoneta veneto che si è purtroppo
ritirato a metà settimana, ha scampato il pericolo.

Dediche e ringraziamenti?

In primis a mio figlio Alessio,
di sei anni, ed alla mia compagna Marina, con i quali presto condividerò una
grande gioia. Devo ringraziarli per aver condiviso con me i sacrifici che una
gara come questa impone: tempo libero, fatica, trasferte, allenamenti. Poi i
miei genitori, i familiari, gli amici e tutti gli appassionati che mi hanno
seguito ed assistito in questa fantastica esperienza. Fondamentale è stato
anche l’apporto di alcune aziende ed attività che mi hanno sostenuto in
questa  avventura, impegnativa anche dal
punto di vista finanziario. Voglio dire grazie allo sponsor tecnico Brooks, al
Comune di Dolcedo, alla San Lorenzo, alla Ac Tecar Sanremo, a Shaba
Costruzioni, ad Arredamenti Fogliarini. Molto importante è stata anche la
collaborazione del Csen e di Oltre, neonata associazione di cui mi onoro di
essere socio fondatore e vicepresidente, attraverso la quale stiamo cercando di
attivare importanti progetti legati al territorio, all’avventura ed agli sport
estremi. Passioni che animano anche il presidente di Oltre, Lorenzo Gariano, a
sua volta reduce dalla conquista delle Seven Summits, un altro caro amico che è
stato prodigo di consigli nei miei confronti. L’anno scorso, al ritorno dal
deserto, gli amici ed il Comune di Dolcedo organizzarono una bella festa. Fu
una sorpresa. Questa volta vorrei contraccambiare.

Tanta fatica per…?

Per la soddisfazione, un po’ di gloria e l’indelebile ricordo che
porterò per sempre con me. Non certo per i premi. In occasione della cerimonia
di chiusura, a Ouarzazate, ho ricevuto la maglietta di finisher, un trofeo ed
uno sconto di 400 euro per l’iscrizione alla prossima edizione.

Qualche rammarico?

Rammarico no. Solo un po’ di
invidia nei confronti di altri atleti italiani che, nonostante si siano
ritirati o siano arrivati decisamente indietro, ho scoperto poter contare
sull’apporto di importanti sponsor locali e nazionali grazie ai quali possono
dedicare più tempo e permettersi di gestire l’attività con serenità. Sotto
questo punto di vista spero che i risultati conseguiti mi aiutino a reperire
delle risorse. Mi sono accorto che la visibilità conta molto, forse sinora ho
trascurato un po’ questo aspetto. Dall’inizio della Marathon des Sables ho
anche un sito Internet, www.lorenzotrincheri.it. Un passo alla volta….

Tornerai nel deserto?

Adesso è prematuro per dirlo.
L’impegno è gravoso, voglio pensarci con calma.

E dopo il deserto cosa ti aspetta?

In quello che resta del mese di
aprile conto di rimanere fermo e smaltire la fatica accumulata nel deserto. Ad
inizio maggio vorrei essere al via dell’Ultratrail The Abbots Way, la via degli
Abati, gara di 125 km in due giorni, da Pontremoli a Bobbio, per un totale di
5.900 metri di dislivello positivo. A giugno mi dedicherò a qualche gara in
salita: la Supermaratona dell’Etna, forse il Monte Faudo. A fine agosto, se si
presenterà l’occasione, potrei riprovare l’Ultratrail del Monte Bianco, altra
gara mitica.

Dal punto di vista organizzativo, dopo aver contribuito nel 2007 alla
Via Marenca ed aver visto nascere un articolato circuito di gare trail in
Liguria, le ecomaratone e i Park Trail in tutta Italia, mi piacerebbe che anche
il bellissimo territorio della provincia di Imperia ne potesse ospitare almeno
una. In tutto l’entroterra, ed in particolare all’interno del Parco delle Alpi
Liguri, vi sono tantissimi percorsi adatti. Questa disciplina ormai è di gran
moda, ha un elevatissimo numero di appassionati e sono certo che, oltre a
sensibilizzare il rispetto per la natura, sarebbe un ottimo traino a livello
turistico e di immagine.

Comunicato stampa a
cura di Immedia

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.