Trail Malandrino: a Stefano Ruzza e Carlin-Bertasa la corsa di notte sui sentieri dei malandrini
Di Andrea De Alessandri
Non sottovalutare il lato oscuro dell’Appennino. Così l’ideatore di questa singolare gara notturna, Alessio Parauda, metteva su chi va là i 230 atleti iscritti alla sua creatura. E si è andati oltre la difficoltà della corsa nelle tenebre, con condizioni meteo difficili, nebbia fittissima su gran parte del percorso e vento fino a 60 km sul crinale appenninico. A proposito del percorso: 70km, solo l’8% di asfalto, 4550 metri di dislivello positivo da percorrere, partenza alla mezzanotte a cavallo fra il 2 e il 3 di giugno in quel di Prato, termine della lunga cavalcata sull’Appennino Tosco-emiliano al valico dell’Abetone.
Il percorso dei Malandrini, i contrabbandieri che nei secoli passati trasportavano il sale dal Granducato di Toscana fino all’Emilia.
Fin dalla partenza è subito salita, sembra impossibile che già alle porte della città di Prato si sviluppino faggeti fittissimi e sentieri che già dopo pochi chilometri permettono una visuale fiabesca sulle città toscane illuminate alcune centinaia di metri più in basso di noi. Dopo una quindicina di km abbiamo già fatto un migliaio di metri di dislivello positivo, e dal ristoro di Schignano posto al settimo km si intuisce che non sarà una nottata facile: la visibilità cala sempre di più a causa della nebbia fitta, le faggete estesissime ed imponenti che attraversiamo incutono un certo timore, ringrazio il mio intuito di avere portato con me una frontale di derivazione scialpinistica molto potente e mi dò una priorità: piuttosto perdere qualche posizione, ma vietato assolutamente perdersi!
Per noi abituati a correre sulle Alpi pensare all’Appennino può sembrare più semplice, meno ostico, eppure nonostante le quote meno elevate il percorso è tanto bello quanto faticoso, salite erte si susseguono a discese corribili, l’attenzione a dove mettere i piedi di notte è amplificata, il dispendio di energie maggiore.
Ad ogni bivio importante l’organizzazione si dimostra efficientissima: volontari forniti anche di cellule fotoelettriche simili a quelle militari ci indicano il cammino, da parte mia continuo a mettere la massima attenzione sulle indicazioni da seguire, mi capita di scambiare qualche parole con atleti che si sono persi.
E così’, alle prime luci dell’alba, arrivo al paese di Pracchia, dopo 38 km e al quarto graditissimo e fornitissimo ristoro. Ora inizia la gara vera se si ha la benzina per correre ancora: si sale di 1300 metri nel giro 14 km. La nebbia per fortuna si dirada e le faggete si fanno vedere in tutto il loro splendore, portandoci al rifugio del Montanaro posto al cinquantesimo km, il preludio del tratto più spettacolare: il crinale appenninico.
Mi affianco ad un atleta locale che mi preannuncia lo spettacolo della cresta che divide la pianura padana dalla Toscana, se il tempo sarà sereno la vista spazierà fino al mar Tirreno e alle città dell’Emilia sull’altro versante. Nulla di tutto ciò: la nebbia riprende fitta affiancata da un vento che gonfia il kway come fosse un palloncino. Stringiamo i denti sul crinale che sarebbe anche divertente, un affilato su e giù su una cresta erbosa che fa intuire tutta la sua bellezza nonostante il meteo avverso. Mi rendo conto di aver dimenticato i guanti che ora servirebbero davvero, sento parecchio freddo alle mani.
Ma al ristoro della Croce Arcana, al km 60, arriva una sgradita sorpresa: il crinale non è più percorribile, il vento supera i 60 km all’ora e anche la balisatura da quel tratto in avanti non esiste più, si ripiega quindi sul percorso di emergenza, posto più in basso e al riparo, ma con una sorpresa: i km totali diventano 77!
Pur dispiaciuto capisco la decisione, la sicurezza prima di tutto. Ora si tratta di arrivare al traguardo, il percorso alternativo è un lungo susseguirsi di piste forestali e brevi tratti di asfalto che attraversano piccoli paesi, l’esaltante saliscendi del crinale appenninico è un ricordo, faccio mente locale sugli allenamenti cittadini che faccio in settimana per superare la fatica e la monotonia di questo tratto. Supero alcuni atleti in evidente difficoltà e trovo due inaspettati quanto graditi ristori messi su in gran fretta dai magnifici volontari. L’ultima salita di 350 m è una calvario ma la discesa su una pista forestale che conduce alla piazza dell’Abetone mi dà l’ultima sferzata di energia, “sei arrivato”, mi dicono i turisti che incontro sulla mia strada, “ti manca 1 km”!
E così, la mia gara interamente notturna ha termine. Chiudo con soddisfazione in 10 ore e 52 minuti come undicesimo uomo, quattordicesimo assoluto, alle spalle di nomi importanti dell’ultratrail italiano. Vince il giovane lombardo Stefano Ruzza della Valetudo Skyrunning Italia, campione simpatico e tranquillo ormai avvezzo alle prime posizioni, in 9h12′, segue un grandissimo Marco Zanchi appena 5 minuti dopo Stefano, ancora convalescente dopo una brutta bronchite, e terzo l’ultramaratoneta toscano Matteo Lucchese in 9h22′.
Fra le donne primo posto in condivisione per le due atlete del Team Tecnica Alessandra Carlin e Cinzia Bertasa in 10h32, attenzione alla giovane Alessandra perché sentiremo sempre più spesso parlare di lei negli ultratrail. Terza una sfortunata Chiara Parigi 10h34′, la forte atleta della Podistica Arezzo ha perso un po’ di tempo perdendosi e perdendo anche le possibilità di giocarsi il primo posto con le prime arrivate.
Da sottolineare la perfetta organizzazione di una notturna così lunga, un ristoro ogni 7/10 km tutti ben forniti, personale volontario e di soccorso gentilissimo, disponibile e con una parola di incoraggiamento per tutti. Servizio di rientro per i numerosi ritirati e per chi si è purtroppo perso nella nebbia puntuale ed efficiente. Complimenti Malandrini!
Oltre alla gara principale s’è corsa anche la Malandrinata, anche questa modificata con un’aggiuunta di circa 7 km , per totali 38 con un dislivello positivo di +2400 metri, vinta da Fabio Scipioni in 3h40′.